FATTI

Emergenza carceri in Italia: l’approccio della Comunità di Sant’Egidio

La Comunità di Sant’Egidio da molti anni è attenta al problema delle carceri, con numerose iniziative a livello internazionale per l’abolizione della pena di morte e per il rispetto dei diritti dei detenuti. Tale impegno si è sempre accompagnato ad una presenza e iniziative in molte carceri. In quelle italiane, ma anche in moltissimi paesi, particolarmente dell’Africa, dove la Comunità non solo compie frequenti visite e distribuzioni di generi di prima necessità sempre carenti, ma ha anche contribuito alla ristrutturazione di infermerie o alla formazione lavorativa e di reinserimento sociale.
Sulla situazione delle carceri italiane, Notizie Italia News ha intervistato Stefania Tallei, una delle responsabili delle iniziative nelle carceri della Comunità di Sant’Egidio.

NIN: quali sono state le ultime iniziative di Sant’Egidio nelle carceri italiane ?

R. “Il periodo di Natale ci ha spinto anche quest’anno a fare in modo che fosse possibile vivere la festa anche dietro le sbarre così che abbiamo aumentato, rispetto all’anno scorso, il numero di pranzi e delle feste che siamo riusciti ad organizzare all’interno delle carceri. Abbiamo pranzato o fatto festa con quasi 3.300 detenuti/e e per la prima volta abbiamo organizzato il pranzo di Natale nel carcere di Civitavecchia e di Sulmona. Complessivamente, fra il 20 dicembre e il 6 gennaio, siamo stati presenti in 31 carceri. In alcune carceri purtroppo non ci è stato dato il permesso, ma anche da parte dell’amministrazione penitenziaria c’è stata una crescita sia nella comprensione che nella partecipazione alle nostre iniziative per il Natale.
E’ stato poi molto significativo, è particolarmente apprezzato dai detenuti, che a molti pranzi abbiano  partecipato quest’anno diversi vescovi: a Poggioreale, Civitavecchia, Sulmona e Roma. Come il vescovo ausiliare di Roma Centro, monsignor  Matteo Zuppi e il Card. Sepe di Napoli che ogni anno partecipa al pranzo dell’Ospedale Psichiatrico di Secondigliano.”

NIN: come hanno reagito i detenuti ?

R. “Molti sono rimasti colpiti dal clima di amicizia e hanno commentato che si sentivano come in famiglia. Per molti si è rafforzato un rapporto cresciuto nel tempo, come quello con un giovane di 23 anni recluso a Poggioreale, segnalato ai volontari degli agenti perché si stava disperando leggendo il giornale perché temeva che una bambina caduta dal balcone nel suo quartiere fosse sua figlia. Uno di noi ci ha parlato e l’ha consolato. La bambina era veramente sua figlia, rimasta in coma per alcuni mesi, ma si è poi ripresa. Da quel giorno l’amicizia è cresciuta come fossimo davvero persone di famiglia.
In questo clima familiare è stato importante regalare ai detenuti “regali da regalare” perché normalmente i regali, piccolissimi, che riescono a fare sono quasi sempre pagati con le risorse procurate dalle mogli o dai familiari. Poter avere qualcosa da regalare, non chiesta ai parenti, è importante per non vivere l’occasione in modo umiliante.
Molti commenti commoventi: “Oggi sembrava di stare fuori, per due ore ho pensato di essere libero” o “Oggi è stata una festa in famiglia, grazie perché vi siete ricordati di noi!” o come ha esclamato un internato dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli Secondigliano: “ E’ il più bel Natale della mia vita!”

NIN: Quest’ultima storia apre uno squarcio sulla realtà degli OPG e delle case di lavoro…

R. Negli ultimi anni abbiamo conosciuto meglio le realtà degli OPG e delle case di lavoro: coloro che si trovano nella cosiddetta casa di lavoro sono definiti internati (come per gli OPG). In Italia ce ne sono quattro, quella di Sulmona è la più grande e contiene 200 internati. Il tipo di istituto è sorto in epoca fascista con la definizione di “delinquenti abituali, professionali o per tendenza”. La casa di lavoro esiste ancora e oggi gli internati sono soggetti dichiarati “pericolosi socialmente”.
Hanno terminato di scontare la loro pena (cioè sarebbero liberi) ma la magistratura ritiene possano tornare a commettere reati. Si tratta in maggioranza di italiani con problemi di tossicodipendenza o con disturbi psichici. L’internamento, in assenza di una valutazione positiva, che dipende anche dalle concrete possibilità di reinserimento (casa, famiglia e sostegni esterni) viene prorogato, analogamente a quanto avviene per gli internati negli Ospedali psichiatrici giudiziari. Viene chiamato ergastolo bianco.
Chi è assegnato alla casa di lavoro dovrebbe lavorare, ma il lavoro, soprattutto a Sulmona, non c’è. Trascorso il periodo di detenzione il giudice può dichiarare persistente la pericolosità sociale e fissare un nuovo termine per un esame ulteriore. Il periodo di detenzione in una Casa di Lavoro non può essere inferiore a un anno, che possono diventare due anni o anche più (sembra fino a quattro anni o addirittura più). Le persone che hanno partecipato al pranzo di Natale nella “casa di lavoro” di Sulmona erano quasi tutti italiani, molto poveri. Alcuni provenivano dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

NIN: perché distribuite generi di prima necessità ?

R: Purtroppo la maggioranza dei detenuti vive in condizione di grave povertà: mancanza di indumenti, soprattutto per molti stranieri, spesso soli o giovani orfani, che non ricevono nulla dall’esterno e persino poco cibo. Sembra che addirittura le organizzazioni mafiose siano meno “generose” con i loro affiliati, anche se su questo punto ovviamente non abbiamo certezze. Ormai il cibo non arriva più attraverso i parenti, impoveritesi anche loro. Per questi ragazzi le razioni fornite dall’amministrazione, calcolate in base alle  precedenti condizioni (prima il cibo si sprecava perché molti mangiavano quasi esclusivamente il cibo di casa o acquistato) non sono più sufficienti. Inoltre il numero dei detenuti, come noto, è cresciuto. Dice un nostro amico che lavora nel carcere come “porta vitto”: “io non so come regolarmi, non riesco ad accontentare tutti quando distribuisco il vitto, è troppo poco, allora una volta comincio dal fondo del corridoio e un’altra volta dall’inizio, così ognuno riceve almeno un po’.”
Il pranzo di Natale in questo senso assume un carattere di eccezionalità per la qualità e l’abbondanza.

NIN: Quante carceri avete visitato ?

R: Negli ultimi due anni siamo stati in 90 carceri su un totale di 202. In  42 carceri abbiamo fatto una o più distribuzioni di indumenti e generi di prima necessità incontrando più di 20.000 detenuti e internati degli OPG. Abbiamo distribuito 86.000 generi di prima necessità, ma anche organizzato iniziative di solidarietà fra i detenuti per aiutare i carcerati africani: in 75 carceri abbiamo raccolto 13.500 euro con la campagna “Liberare i prigionieri in Africa”  In questo modo i detenuti nelle carceri italiane hanno sostenuti quelli detenuti in Africa. Un segno significativo che la solidarietà non solo è possibile sempre, in qualunque condizione, ma è anche un motivo di dignità e di umanità per chi la esercita.

Per approfondire: http://nodeathpenalty.santegidio.org/  http://cittaperlavita.blogspot.it/

Marco Peroni
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