FATTI

Deportazione degli ebrei di Roma, l’ultimo testimone: “Non vinca mai l’odio”

Enzo Camerino ha uno sguardo mite. È un uomo anziano, non molto alto. Il 16 ottobre 1943 i nazisti bussarono alla sua porta alle 5 del mattino e lo arrestarono con tutta la famiglia. Quel giorno a Roma furono deportati dalle SS 1024 ebrei. Dopo otto giorni di viaggio sui carri bestiame arrivarono ad Auschwitz-Birkenau. Molti morirono in pochi giorni e alla fine della guerra solo sedici tornarono. In gran parte sono ormai scomparsi, anche per ragioni anagrafiche, solo due testimoni sono ancora in vita (l’altro è Lello Di Segni).
L’intervista a Enzo Camerino avviene in largo 16 ottobre 1943, proprio nella piazza dove sostò prima di essere deportato. È appena terminata l’affollatissima Marcia organizzata ogni anno dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Comunità ebraica di Roma per ricordare quella tragica giornata, che rappresenta una delle pagine più nere nella storia cittadina.

Anche quest’anno ha preso parte alla manifestazione in memoria del 16 ottobre 1943, pur non vivendo in Italia: cosa rappresenta per lei? 


Sento questa Marcia come un momento davvero importante. È per questo che vengo dal Canada per prendervi parte. Quando ci fu la deportazione ero un ragazzo, avevo solo 14 anni. All’inizio non capivo tanto, poi mi sono resi conto di quello che stava succedendo.
Oggi sono contento di vedere tutte queste persone in piazza, a ricordare quei fatti. Lo fanno perché pensano all’avvenire. Chi ascolta, comprende. È per questo che io vengo a Roma nell’anniversario della deportazione: per parlare, ma anche per ascoltare. Mi fa piacere vedere che tante persone abbiano capito quegli avvenimenti. Sarebbe stato triste fare memoria in pochi.

Nel suo intervento durante la manifestazione ha parlato del campo di concentramento

Ho voluto raccontare un grande insegnamento che ho ricevuto. Durante quei giorni difficili, mio padre mi disse: “non portare odio verso nessuno”. Io… (mentre parla, la commozione gli incrina la voce)… sono rimasto fedele al suo insegnamento. Neanche per i tedeschi – che pure mi hanno fatto tanto male – neanche per loro ho odio, per me oggi sono uguali agli altri. Per la stessa ragione ho scelto di non raccontare tutto dell’esperienza nel lager, perché farebbe crescere l’odio, ne porterebbe altro ancora.

In questi giorni ha incontrato anche il Papa

Sì, è la seconda volta, sempre in occasione del 16 ottobre. Gli ho raccontato del campo di concentramento. Credo che Papa Francesco stia facendo crescere l’amicizia fra cristiani ed ebrei. In Argentina era amico degli ebrei, di gente buona. Sono convinto che la sua opera sarà importante.
Ho anche un rapporto buonissimo con la Comunità di Sant’Egidio, siamo diventati amici. Ci sentiamo anche durante l’anno, al telefono, ci scambiamo notizie. È ottimo anche con la Comunità ebraica, ovviamente.

Quale messaggio vuole affidare ai giovani, di oggi e di domani? 


Bisogna fare memoria, ricordare. E soprattutto non bisogna mai odiare, mai lasciarsi vincere da questo sentimento.

Nel corso dell’intervista si forma un piccolo capannello di persone che ascoltano. Quando l’ex deportato finisce di parlare c’è un applauso. Sono soprattutto ragazzi. Gli si stringono intorno, gli danno la mano, alcuni chiedono di fare una foto insieme. Ha ragione Camerino, osservandoli si può avere fiducia nell’avvenire.

Filippo Sbrana

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