FATTI

C’era una volta un muro, a Berlino…

Il 9 di novembre di 25 anni fa, con una rapidità inaspettata, si sgretolava il simbolo più eloquente della divisione tra Oriente ed Occidente, tra il mondo comunista e quello cosiddetto capitalista: il muro che a Berlino divideva in due la capitale della Germania, anch’essa separata in due stati, ad onta delle sue responsabilità per il Nazismo, la Guerra mondiale e la tragedia della Shoah
Tedeschi dell’est e tedeschi dell’ovest si riunirono e si abbracciarono – quella sera – commossi e confusi, increduli e giosi.
Di lì a poco, incredibilmente – siamo nel 1989 – l’intero blocco orientale dell’Europa si sarebbe sgretolato, pacificamente, facendo pressochè scomparire il comunismo dal registro dei regimi in carica da questa parte del mondo.
Il discorso appassionato di Giovanni Paolo II nell’ottobre del 1978, all’apertura del suo pontificato, realizzava così in poco più di 10 anni  un sogno ritenuto pressochè unanimemente impossibile:

Non abbiate paura! Aprite […] i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo…

La storia di Berlino divisa è durata 28 anni, dal 1961 al 1989. Era cominciata – nel 1945 – subito dopo la fine della guerra, con la spartizione della città in quattro settori, ciascuno affidato ad un diverso esercito di occupazione delle forze alleate: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Unione Sovietica.
Con la rottura dell’alleanza con l’Unione Sovietica, la città restò praticamente una enclave all’interno dell’ex settore di occupazione sovietico, che sarebbe diventato, nel 1949, la DDR, la Repubblica democratica tedesca.
Era l’inzio di quella che sarebbe stata chiamata “guerra fredda”, la contrapposizione armata – seppure non ovunque belligerante – tra due blocchi nel cuore dell’Europa e sulle frontiere del mondo, sempre sull’orlo dell’esplosione eppure sostenuta – in entrambi i campi – come misura necessaria per proteggersi dal nemico.
Sembra la storia di un altro secolo, come in effetti è; ed è giusto che in questi giorni il mondo intero – specie l’Europa – ricordi e celebri quegli accadimenti, che appaiono alla generazione che oggi ha meno di trent’anni veramente il ricordo di un’altra epoca. C’è bisogno di spiegare, raccontare, riflettere, conoscere.
Dal 1949 al 1961, si dice, più di due milioni e mezzo di tedeschi – attraverso la “porta” che Berlino offriva per passare dal mondo comunista all’Occidente – fuggirono dalla Germania orientale verso la Repubblica federale; dopo di allora, solo poche migliaia (circa 5.000) i tentativi di fuga coronati da successo verso
Berlino Ovest, mentre almeno 200 persone persero la vita – e molti rimasero feriti – mentre tentavano in ogni modo di superare il muro.

La riunificazione tedesca, ritenuta politicamente assai improbabile, non avvenne senza costi, economici e sociali: nè per la Germania, né  per l’Europa. Eppure, oggi la Germania unita è diventata il traino dell’Europa, il comunismo un ricordo ora tragico ora epico e Berlino una delle capitali più smart del continente. È prevalso il sogno piuttosto che l’incubo.
Ciò nonostante, è come se qualcosa di quel tragico passato di divisione allignasse ancora nelle nostre società. Il muro sembrerebbe essersi spostato a Sud, fuori dall’Europa, nel mezzo del Mediterraneo. Non protegge più da un’ideologia nemica o da un sistema politico, ma da migliaia di disperati in fuga dalle guerre, dall’instabilità, dalla povertà.
Nella Berlino divisa dal muro, si dice che la seconda recinzione – quella creata per rendere più difficile i tentativi di fuga – fosse  chiamata “striscia della morte”. Non è questo – una striscia di mare della morte – ciò che rischia di diventare il Mare Nostrum della geografia dopo le sciagurate decisioni della politica che hanno posto fine ad una delle più dignitose operazioni umanitarie che si ricordino?
I tedeschi orientali – come pure quanti tentarono l’esodo da altri paesi “d’oltre cortina” – godettero generalmente – se non sempre – l’accoglienza o almeno la simpatia dell’Occidente. La loro storia ci veniva raccontata come storia di un’oppressione. Perchè non fare altrettanto con l’umanità che spesso prova oggi a superare altre cortine?
La caduta del muro, secondo Andrea Riccardi, dimostra

che la storia è piena di sorprese e che gli uomini e le donne e i popoli debbano perseguire un disegno, un disegno di unità, come hanno perseguito i tedeschi, […] e non accettare i muri o addirittura sentirsi esaltati e protetti dalla rinascita dei muri. […] Io credo che i muri risorgano e sono i muri di un nuovo clima quasi da Guerra Fredda. […] Noi dobbiamo stare molto attenti, perché i muri risorgono, i muri dividono i popoli, i muri fanno soffrire la gente. I muri durano e si trasmettono di generazione in generazione. Io credo che il discorso di Francesco sulla cultura dell’incontro sia aprire delle falle in questi muri o evitare che crescano.

Per ricordare il 9 novembre 1989 a Berlino e quella storia, alle 20 e 30 di stasera, a Santa Maria in Trastevere si svolgerà una veglia di preghiera, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio e dall’Ambasciata della Germania presso la Santa Sede: per non dimenticare quella tragica divisione dell’Europa, per non difendere altre inique divisioni non degne del grande sogno europeo che Berlino in qualche modo, emblematicamente, rappresenta.

Paolo Sassi

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