CHIESACOMMENTI

“Todos somos americanos”. Un nuovo Natale per Cuba

«La storia è piena di sorprese. Tutto può cambiare».
Questa frase di Karol Woytiła ha avuto nella scorsa settimana un’altra occasione per essere apprezzata, quando ­– lo scorso 17 dicembre – Raul Castro e Barak Obama hanno comunicato al mondo la decisione di dare un nuovo corso alle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti.
Cade così, nella sorpresa di molti, un altro “muro” della storia che durava dal 1961, da quando la rottura delle relazioni diplomatiche prima e successivamente l’embargo commerciale – el bloqeo, come si dice a Cuba – portarono il mondo sull’orlo della guerra.

Nell’apprensione generale e nello sconcerto causato allora dall’apertuta della crisi cubana, fu un papa – Giovanni XXIII – a prendere in mano l’iniziativa. Si era da poco aperto il Concilio Ecumenico Vaticano II e le navi sovietiche stavano raggiungendo l’isola di Cuba per installarvi alcuni missili con testate nucleari da rivolgere contro gli USA. L’anziano papa rivolse un appassionato radiomessaggio al mondo:

«Alla Chiesa sta a cuore più d’ogni altra cosa la pace e la fraternità tra gli uomini […]. A questo proposito, abbiamo ricordato i gravi doveri di coloro che portano la responsabilità del potere. Oggi […] supplichiamo i Capi di Stato di non restare insensibili a questo grido dell’umanità. Facciano tutto ciò che è in loro potere per salvare la pace: così eviteranno al mondo gli orrori di una guerra, di cui nessuno può prevedere le spaventevoli conseguenze. Continuino a trattare. Sì, questa disposizione leale e aperta ha grande valore di testimonianza per la coscienza di ciascuno e in faccia alla storia. Promuovere, favorire, accettare trattative, ad ogni livello e in ogni tempo, è norma di saggezza e prudenza, che attira le benedizioni del Cielo e della terra».

Al tema della pace Giovanni XXIII avrebbe poi dedicato la sua enciclica – testamento, la Pacem in terris, indirizzata per la prima volta “a tutti gli uomini di buona volontà”.
Come noto, la crisi del 1962 non condusse alla guerra ma Cuba entrò da allora in un regime di isolamento che solo la settimana scorsa sembra avere trovato una via di uscita.
Sorprende – ma non troppo – apprendere che anche questa volta ci sia stato lo “zampino” di un papa:  sono stati sia  Obama che Castro a dichiararlo al termine dei loro discorsi.
Ma le parole di Obama contengono qualcosa di più di un semplice riconoscimento: riferendosi a papa Francesco, americano del Sud, lo ha ringraziato

«per averci mostrato l’importanza di guardare al mondo quale dovrebbe essere, piuttosto che accettarlo semplicemente per come è».

Obama e Castro ai funerali di Mandela, dicembre 2013

Le cronache riferiscono di lettere di Bergoglio ai due leader, e poi di incontri delle delegazioni in Vaticano ed in Canada. Ma più che la logistica del “dietro le quinte”, pure interessante, colpisce ancora una volta come l’audacia di papa Francesco si incontri con gli scenari della storia: senza vittimismo o senso di impotenza, nè con la presunzione di poter risolvere tutto e subito, anche se con la consapevolezza che

«[l]avorare per la pace non dà risultati rapidi, ma è un’opera da artigiani pazienti».

Il governo di Fidel Castro, nel 1969, al culmine della rivoluzione, decise di cancellare il Natale dal calendario delle festività, per non interrompere il lavoro della zafra, la raccolta collettiva della canna da zucchero. Fu solo in occasione della visita di Giovanni Paolo II del 1997 che il lìder màximo acconsentì al ritorno della festa nel suo giorno proprio. Quest’anno, i cubani la potranno festeggiare davvero in una prospettiva di grande speranza.

Paolo Sassi

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