FATTI

Tanzania, dalle urne desiderio di cambiamento …

Elezioni importanti quelle svoltesi la settimana scorsa in Tanzania.
E conclusesi con la proclamazione ufficiale del quinto presidente dello stato africano, John Pombe Magufuli, indicato dal partito al potere dall’indipendenza, il Chama cha Mapinduzi, il Partito della Rivoluzione, che giurerà domani.
Gli elementi di novità, se non di rottura, in queste elezioni prevalgono su quelli che esprimono continuità. 
Va detto innanzitutto che il passaggio alle urne di dieci giorni fa è stato il meno scontato da quando Nyerere introdusse il pluralismo partitico, nel 1992. L’oppositore di Magufuli, Edward Lowassa, front runner del Chama cha Demokrasia na Maendeleo, il Partito della Democrazia e del Progresso – o, meglio, dell’alleanza UKaWa, Umoja wa Katiba ya Wananchi, Unione della Costituzione del Popolo, costruitasi attorno al ChaDeMa -, un ex dirigente del CCM, già Primo Ministro per alcuni anni, prima di rassegnare il mandato per un non del tutto chiarito scandalo di corruzione, ha portato il ChaDeMa a una sfida mai così serrata col partito al governo: per la prima volta nella storia della Tanzania il presidente eletto è stato votato da meno del 60% di quanti si sono recati ai seggi.
Che sono stati estremamente numerosi: 15 milioni e mezzo su 22 milioni registratisi per il voto. Cinque anni prima, alle elezioni del 2010, i votanti erano stati un po’ più della metà, appena otto milioni! Ecco un altro dato su cui riflettere: la giovane democrazia tanzaniana sembra godere di buona salute, l’interesse per la politica cresce, gli espatriati sono sorpresi dall’impressionante numero di coloro che seguono le dirette dal Parlamento (che contrasto con l’Italia, eh!).
Del resto, il processo elettorale si è svolto con passione, ma con calma. Gli osservatori internazionali, regionali e locali, pur esprimendo perplessità sulla “transparency”, hanno descritto l’intero passaggio come “free, fair and peaceful”. Lo stesso annullamento delle elezioni a Zanzibar – per brogli; nelle isole, che fanno parte dell’Unione, si dovrà rivotare entro 90 giorni – significa che l’impero della legge non è sfidato dall’arbitrio, che siamo in presenza di uno stato di diritto. 
Tutto ciò fa della Tanzania un modello di quasi normalità in un continente in cui è facile che la parola passi dalle urne alle armi. Ovvero in cui è facile che un presidente chieda di restare al potere dopo due mandati, anche se la costituzione glielo vieta. Cosa che nella repubblica swahili non è stata in discussione neanche un minuto.
Ulteriore elemento di novità la coppia presidenziale. Per la figura del – della – vicepresidente. Che per la prima volta sarà una donna, Samia Suluhu Hassan. Ma soprattutto per quella del presidente. 

Magufuli è stato infatti il coniglio pescato nel cilindro a luglio, al momento della nomination presidenziale, dalla non sempre apprezzata e lungimirante dirigenza del CCM. Mentre tutti si aspettavano una proposta di continuità – probabilmente destinata ad essere impallinata dalle urne -, mentre Lowassa – sì, proprio lui – cercava di ottenere per sé l’incarico, con una mossa a sorpresa il partito che era stato di Nyerere aveva saputo indicare un uomo che fino ad allora aveva sempre contestato dall’interno obiettivi e metodi della sua stessa famiglia politica. Un italiano non può sfuggire al fascino del paragone di Magufuli con un altro “rottamatore”. Ma è proprio così che Magufuli si pone, come un leader che, forte del riconoscimento che gli viene fatto da ogni parte d’integrità e capacità di lavoro, si propone di ribaltare una consuetudine fatta di corruzione e arroganza, di avviare una stagione nuova di correttezza e di sfruttamento delle grandi potenzialità del paese a vantaggio della maggioranza della popolazione.
Riuscirà Magufuli nel suo intento? E’ quello che ogni tanzaniano, che lo abbia votato oppure no, si augura davvero …. 

Francesco De Palma
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