FATTI

“Nebel in August”. Perché il passato non sia una terra straniera.

Fare i conti con il proprio passato è la condizione necessaria per la costruzione di una società libera, forte, sana e dotata degli anticorpi necessari per evitare che si ripeta quanto è accaduto in termini di violenza, guerre e soprusi.
Il popolo tedesco lo sta facendo in profondità e con grande coraggio, comprendendo che, per liberarsi dalle “colpe dei padri”, non si può prescindere dal dovere della memoria.
Nel mondo della cultura tedesca, negli ultimi decenni, sembra sia in atto una sorta di “processo di purificazione” della propria  storia che parte proprio dall’affrontare a viso aperto,  le atrocità che sono accadute durante il regime Nazista negli anni di Adolf Hitler.
Uno dei libri più letti in Germania nel 2016 è l’edizione critica del Mein Kampf, un grosso volume corredato di lunghe note critiche di storici ed esperti. Questo testo sembra sia acquistato, non da simpatizzanti neo-nazisti, ma da gente comune che “vuole studiare e capire di più” cosa sia accaduto in quegli anni.
Questa tendenza ad immergersi negli angoli bui e scomodi della propria storia si riflette anche nel cinema. Sono molti i film tedeschi che hanno raccontato, senza nessuno sconto alla verità e con una notevole cura dei dettagli,  gli anni bui del regime hitleriano.
Prossimamente, sarà possibile andare a vedere nelle sale italiane il film Nebbia in Agosto (Nebel in August), del regista amburghese Kai Wessel.
Uscito in Germania a settembre del 2016, il film, che si ispira all’omonimo romanzo del giornalista e sceneggiatore Robert Domes, racconta la vicenda dello sterminio dei disabili fisici e mentali accaduto nei primi anni del Nazismo in Germania. 
Non accenno minimamente alla trama; piuttosto vorrei offrire qualche elemento storico per inquadrare meglio la vicenda narrata nel film.
Tra il 1939 e il 1945 oltre 180.000 pazienti psichiatrici e disabili mentali, furono uccisi in Germania, nell’ambito del programma nazista per l’eutanasia, denominato con la sigla Aktion T4 . Erano gli psichiatri stessi che decidevano la morte dei propri pazienti. Il termine “eutanasia” (nel senso di “buona morte”) fu un tragico eufemismo. I metodi per sopprimere queste persone deboli ed indifese, furono di una ferocia e di una crudeltà inaudite. Un passo dei verbali del processo dei Medici a Norimberga nel 1947 recitava: “Le atrocità furono talmente prive di limiti e al contempo organizzate con tale tecnica burocratica, freddezza, malizia e sete di sangue, che nessuno può leggere di esse senza provare la più profonda vergogna”.
Nei mesi successivi al 1 settembre 1939, sei istituti psichiatrici del Reich divennero delle vere e proprie fabbriche di morte. Furono attrezzati con camere a gas e dagli altri istituti erano inviati ogni giorno degli “scaglioni” di pazienti (circa 40 persone a scaglione) per essere uccisi.
I pazienti candidati all’eutanasia, venivano scelti in base ad una selezione fatta da speciali commisioni mediche e la loro “esecuzione” avveniva senza il consenso dei loro familiari, i quali non ricevevano alcun avviso o comunicazione circa il destino dei loro cari.
Poiché il programma aveva un impegno economico importante, gli psichiatri coinvolti nell’Aktion T4, studiarono un metodo”meno costoso” ed altrettanto efficace per portare a termine il programma, cioè la morte per fame; ai pazienti venivano somminstrati dei pasti gradualmente sempre più poveri di proteine ed altre sostanze  nutritive, fino a provocarne il progressivo indebolimento e morte tra atroci sofferenze.
Dopo il 1941, attraverso l’istituzione di speciali unità pediatriche, il programma Aktion T4 fu esteso anche ai bambini disabili mentali.
Il genocidio dei disabili, per le forme in cui fu attuato, fu una specie di prova generale in preparazione di quello degli ebrei.
I disabili erano considerati “lo scarto” della società e la loro presenza incompatibile con l’ideologia hitleriana della purezza della razza. Ciò fa riflettere perchè esiste come un filo rosso che lega l’accoglienza e il rispetto della disabilità, allo sviluppo o meno della mentalità razzista. Chi cresce nell’incontro e nell’amore verso i disabili, ha molte meno probabilità di diventare razzista, forse perchè più abituato a confrontarsi con la diversità.
Va comunque sottolineato che la cultura di morte dei Nazisti nei confronti dei disabili, non fu accettata da tutti. Il progettto Aktion T4 ebbe un notevole rallentamento (con conseguente calo delle morti) grazie alle vibranti proteste della Chiesa Cattolica Tedesca, che si ribellò con decisione di fronte a questa barbarie. Rimangono famose le parole del Vescovo Clemens August Von Galen: “Hai tu, o io, il diritto alla vita soltanto finché noi siamo produttivi, finché siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora applicato, che l’uomo improduttivo possa essere ucciso, allora guai a tutti noi, quando saremo vecchi e decrepiti. Se si possono uccidere esseri improduttivi, allora guai agli invalidi, che nel processo produttivo hanno impegnato le loro forze, le loro ossa sane, le hanno sacrificate e perdute. Guai ai nostri soldati, che tornano in patria gravemente mutilati, invalidi. Nessuno è più sicuro della propria vita.”.
Nebbia in Agosto, che è stato accolto con un certo favore dalle critiche, si presenta come un film interessante che, ritengo, valga la pena di vedere, sia perché promette bene (ed è forse il primo che affronta in modo così diretto il tema del genocidio dei disabili), sia perché il dovere della memoria è un esercizio dal quale è necessario non sottrarsi.
Francesco Casarelli

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