FATTI

“Via dell’Odio” è una strada senza uscita. Il delitto di Vasto e l’esempio di Bill Pelke.

Sono trascorsi alcuni giorni dalla tragedia di Vasto. Vorrei ripercorrerla brevemente:
“Ha sparato all’uomo che aveva investito e ucciso sua moglie. E lo ha fatto con una vera e propria esecuzione, a colpi di pistola davanti al bar. A freddo. La vendetta di Fabio Di Lello, calciatore e panettiere di 32 anni, si è consumata mercoledì pomeriggio a Vasto, non lontano da quel maledetto incrocio dove nello scorso luglio l’auto guidata dalla vittima, il 22enne Italo D’Elisa, aveva travolto e ucciso Roberta Smargiassi, una ragazza a bordo di uno scooter. Un vendetta, consumata in mesi di dolore e rancore. “Italo D’Elisa, dopo aver ucciso Roberta, nell’incidente, non ha mai chiesto scusa, non ha mostrato segni di pentimento – dice adesso Giovanni Cerella, l’avvocato di Fabio Di Lello – Anzi, era strafottente con la moto. Dava fastidio al marito di Roberta. Quando lo incontrava, accelerava sotto i suoi occhi”. (Fonte: Corriere.it).
Dopo il delitto il panettiere è andato a riporre la pistola dell’omicidio sulla tomba della moglie compiendo un gesto dal contenuto simbolico che ricorda tanto i rituali degli antichi codici d’onore balcanici.
Un movimento rabbioso si era creato attorno al 22enne autore dell’investimento. Subito dopo l’incidente in cui morì la giovane donna, era nato un gruppo su facebook, a cui fu messo il titolo: “Giustizia per Roberta”, pieno di commenti infuocati e vendicativi contro Italo D’Elisa, dipinto come un mostro senza cuore nè pietà, che aveva distrutto l’esistenza di due persone felici.
Il giorno dopo l’uccisione del ragazzo nel gruppo sono apparsi commenti come questo: “Italo D’Elisa: un assassino, o per meglio dire un verme che ha stroncato la vita di una donna e l’esistenza di suo marito. Ha fatto la giusta fine. Quella che si meritava sin dal giorno dell’omicidio. Onore al Gladiatore Fabio Di Lello“.
L’odio si genera e si alimenta attraverso meccanismi condivisi e c’è da riflettere quanto un utilizzo senza regole dei social sia responsabile di questo. Ma c’è anche da riflettere più in generale, a tutti il livelli, quanto la violenza delle parole, provochi l’imbarbarimento della società e crei il clima adatto per il ricorso alla “giustizia-fai-da-te”.
Ma la “Via dell’odio” non è mai stata, nè sarà mai l’unica scelta possibile di fronte alla sofferenza e al dolore.
Io ho conosciuto personalmente Bill Pelke, il nipote di Ruth Pelke, l’anziana insegnante di catechismo trucidata nel 1986 dall’allora quindicenne Paula Cooper. Fu un delitto che scosse gli USA e l’opinione pubblica mondiale, sia per la sua efferatezza, sia per la giovane età dell’assassina che poi fu condannata alla sedia elettrica, conquistando il primato di essere la più giovane detenuta nei bracci della morte americani.
Bill è un uomo sereno, dotato di una calma interiore, uno di quei privilegiati a cui sembra sia stato svelato il segreto di come vivere una vita riconciliata.
Per lui non sempre è stato così.
Quando trovarono il corpo della sua amata nonna Ruth, martoriato da 12 coltellate, uccisa per pochi spiccioli da alcune ragazze che si erano introdotte a casa sua con l’inganno, anch’egli provò una rabbia incontenibile e anch’egli desiderò tutto il male possibile per quei mostri che, senza un perché,  avevano provocato tanta sofferenza e che lui odiava con tutto il suo essere.
Anche lui gioì quando il tribunale condannò la quindicenne Paula alla sedia elettrica perché era giusto che la ragazza pagasse per ciò che aveva commesso.
Ma la sua soddisfazione rabbiosa fu di breve durata. Accanto ai sentimenti di odio e vendetta, sentiva nascere dentro di sé un’inquietudine che non sapeva decifrare.
Ripensava in continuazione a nonna Ruth e alle storie sulla Bibbia che gli raccontava quando era piccolo: quelle vicende parlavano solo di amore, di perdono e non c’era posto per l’odio.
Si trovò spesso a piangere da solo, tormentato dall’abisso che separava i sentimenti rabbiosi che lui stava vivendo, da quello che forse veramente avrebbe voluto nonna Ruth.
E fu così che nella lotta interiore che lo stava dilaniando, l’amore per nonna Ruth, questa figura di anziana donna appassionata della Bibbia, prese il sopravvento facendo crollare tutte le impalcature di odio e rabbia che Bill aveva costruito nel suo cuore.
Quando cadono queste impalcature l’anima si libera e diviene capace di scelte dirompenti.
Bill decise di incontrare Paula Cooper.
Voleva capire e dare un senso a tutto quel dolore.
Fu un percorso complesso che è difficile riassumere in poche battute. Accenno solo al fatto che quando le persone sono osservate con gli occhi liberi dall’odio, si scopre la loro umanità. Bill, restituendole la dignità di persona,  comprese il dramma di Paula, una ragazza che fin da piccola era cresciuta in un contesto di violenza e abusi.
Comprese che il male genera altro male e la violenza genera altra violenza.
Comprese quanto fosse vera la frase di Gandhi “occhio per occhio e il mondo diventerà cieco”.
Era una catena che si doveva interrompere. E il primo passo fu questo: Paula non doveva morire.
Per lui fu la salvezza della ragazza il trofeo da portare sulla tomba di nonna Ruth.

Fu tra i promotori della campagna internazionale per la salvezza di Paula Cooper che culminò con la commutazione della sua pena. Fondò l’associazione Journey of Hope diventando uno dei più importanti attivisti contro la pena di morte.
Ero con Bill, alla fine di novembre, in un liceo dei Castelli Romani di fronte ad un’affolata assemblea di studenti.
Cercavamo assieme di trasmettere il concetto che esiste un’alternativa alla violenza e alla vendetta. Quando Bill iniziò a raccontare il suo percorso esistenziale che da “vittima che pretende vendetta”, lo ha portato ad essere un attivista contro la pena di morte, un grande silenzio regnava nella sala. Vidi i ragazzi con gli occhi lucidi e mi scoprii commosso anche io.
Sono gli uomini e le donne come Bill Pelke che renderanno migliore questo mondo e credo fortemente che sono loro i veri “gladiatori”, quelli capaci di lottare veramente contro il male, quello che si esprime attraverso la violenza e ti strappa le persone amate, quello che si annida nel proprio cuore, quello che avvelena i rapporti interpersonali e si autoriproduce senza soluzioni di continuità.
Agli uomini e le donne come Bill va tutto l’onore.

Francesco Casarelli
(Nella foto in basso: Bill Pelke assieme a Sister Helen Prejean, autrice del libro “Dead Man Walking” e l’attrice Susan Sarandon, protagonista dell’omonimo film)

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