FATTI

Di canzoni e di missili …

“The eastern world it is explodin’”, “L’Oriente sta esplodendo”, così Barry Mc Guire iniziava la sua “Eve of destruction”, canzone simbolo del movimento contro la guerra negli anni Sessanta.
Ebbene, guardando alla tensione che monta tra Corea del Nord e Stati Uniti, sembra sia ancora vero. Purtroppo. E dovremmo futti ricordarci che “if the button is pushed, there’s no running away, / there’ll be no one to save with the world in a grave”, “se si preme quel pulsante, non ci sarà via di fuga, / non ci sarà nessuno che si salvi in un mondo sceso nella fossa”.
Andrea Riccardi ieri, su “Famiglia Cristiana” (https://www.riccardiandrea.it/2017/09/di-fronte-allincubo-atomico-piu.html) ha messo a confronto questo nuovo braccio di ferro nucleare con quello della Guerra Fredda, ha sottolineato come “trent’anni fa, tra il 1986 e il 1987, [con] la scelta di firmare il trattato Gorbachev-Reagan che poneva fine alla questione degli euromissili” la ragionevolezza avesse prevalso. E concludeva: “Farebbe comodo anche oggi avere uno o più ‘telefoni rossi’ per chiamarsi l’un l’altro”, così come accadeva tra USA e URSS. 

Farebbe davvero comodo. Gli ultimi decenni – quelli del nuovo disordine globale – non hanno saputo cogliere la straordinaria opportunità che la fine della Guerra Fredda ci aveva trasmesso. La memoria del passato sfuma, il dialogo con le altre potenze sembra inutile, l’autosufficienza si fa regola di comportamento. Tante scelte, condotte in perfetta solitudine, hanno finito per seppellire quello che avrebbe potuto essere uno scenario di cooperazione globale. 
Ci si sta incamminando su una strada estremamente pericolosa. Chi crede nel dialogo è visto come un ingenuo, come un sognatore. Ma forse – parafrasando John Lennon – “non siamo in pochi a sognare”. Non siamo pochi forse, a sperare, così come faceva Sting negli anni Ottanta, in “Russians”, che “the Russians love their children too”, che “anche i Russi amino i loro bambini”. 
Conforta, allora, leggere che l’arcivescovo di Gwangju (Corea del Sud), mons. Hi-Jong, ricevuto nei giorni scorsi in Vaticano da papa Francesco, lavori e preghi insieme ai suoi colleghi e a tanti altri, credenti non, anche in questi giorni bui, per una prospettiva diversa da quella del confronto muscolare. Conforta che dica, che ricordi a tutti: “Anche la Corea del Nord è consapevole che una guerra nucleare avrebbe conseguenze disastrose per tutti”. 
Il male esiste. Ma c’è la fiducia che anche l’Altro ami i propri bambini come noi amiamo i nostri. Che sia possibile costruire insieme un mondo più amico della pace, che sia possibile aprire via di pace lì dove si erge un muro di velleitarismo e di incomprensione. 

Sì, forse aveva ragione Sting, “we share the same biology / regardless of ideology / what might save us, me and you / is if the Russians love their children too”, “condividiamo tutti la stessa biologia / al di là di ogni ideologia / quel che può salvarci, me e voi / è il fatto che anche Russi”, e i Coreani, e gli Americani, etc,, etc., “amano i loro bambini”.

Francesco De Palma
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