FATTI

Un cuore di tenebra che ti si annida dentro …

In un agile volume, magistralmente scritto, in cui aleggia la presenza cupa del Male, ma anche la tragica piccolezza di chi pensava di incarnare il Superuomo, Olivier Guez, romanziere e sceneggiatore francese, che in più occasioni ha focalizzato la sua attenzione sul secondo dopoguerra, ha ricostruito la latitanza sudamericana di uno dei più famosi criminali nazisti, il selezionatore sulla rampa di Auschwitz, l’autore di esperimenti su bambini-cavia per scoprire il segreto della gemellarità. Il libro si intitola “La scomparsa di Josef Mengele” (Neri Pozza, 208 pp., 16.50 euro). 

Guez ne segue le tracce, il percorso che lo porta dalla Germania, all’Italia, all’Argentina, nonché, in particolare dopo il rapimento di Eichmann a opera del Mossad, in un lungo, triste, impaurito, decadente peregrinare tra Paraguay e Brasile. Il castigo per il delitto commesso ad Auschwitz non si è manifestato a Norimberga o a Gerusalemme, ma si è consumato lentamente, nello spavento, nell’isteria, nello spegnersi dell’animale braccato.
Guez ha scritto un testo asciutto, ovvero, come recensito sulla “Stampa” da Andrea Kerbaker, “pagine secche come uno sparo, senza una parola in più del necessario, per narrare l’orrendo esilio di uno sterminatore”. Il suo obiettivo, ha dichiarato l’autore, è raccontare la “mediocrità del male” (“mediocre è ancor peggio che banale”), la sua meschina autoreferenzialità. 
“Nel libro non ci sono dialoghi”, è stato chiesto allo scrittore. “Puoi spiegarci questa scelta?”. “In effetti anche quando sembra esserci dialogo, il discorso è indiretto. Non c’è dialogo. Il dialogo umanizza”. Ecco, l’inferno descritto da Guez non è l’orrore di Auschwitz, l’urlo dell’olocausto. E’ piuttosto l’incubo di un mondo impermeabile e disumanizzato, diffidente e incattivito, tanto piccolo da potersi annidare nell’intimo, da farsi il grumo di peli che – come scoprirà chi legge – si annoda nelle viscere del medico nazista. Simbolo di un cuore di tenebra che il mondo non deve mai dimenticare.

Francesco De Palma
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