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1938: vite spezzate dalle leggi antiebraiche

Ricorre quest’anno l’ottantesimo anniversario di una delle pagine più buie della storia d’Italia: infatti, nel 1938 furono promulgate le cosiddette Leggi antiebraiche fasciste. Esse erano un blocco di provvedimenti legislativi, ma anche amministrativi che colpivano le persone di religione ebraica, causando – in diversi casi – tragedie nella vita delle famiglie che, di punto in bianco, vedevano stravolta la loro vita: chi perdeva il lavoro, chi la possibilità di studiare a scuola, chi di frequentare l’università, chi venne cacciato da un ospedale dove esercitava come medico, chi veniva estromesso da incarichi direttivi o da ruoli dirigenziali, chi semplicemente da un posto di lavoro pubblico. L’impatto fu tremendo per queste famiglie – si diceva – ma anche per la società: tra le persone estromesse vi erano anche insigni studiosi, luminari, scienziati, ma anche professori, medici, talvolta difficili da sostituire. Gli italiani di religione ebraica erano talmente assimilati nella società italiana, da essere presenti in ogni settore della produzione, dell’insegnamento, dell’impresa e della cultura. 

L’integrazione nella società italiana si palesa anche con l’alto numero di matrimoni misti tra ebrei e cristiani. Erano italiani anche quasi tutti i ministri di culto. Conforme a tutta la popolazione era anche il comportamento verso il fascismo: chi era dichiaratamente antifascista, e chi stravedeva per il regime, già dalla prima ora.
Ma, a Benito Mussolini premeva di escludere completamente dalla società italiana gli ebrei e, il 18 settembre 1938, in occasione di un discorso che pronunciò a Trieste davanti ad una piazza gremita, annuncia l’introduzione di diversi decreti a firma del Re Vittorio Emanuele III, miranti ad estromettere dalla società gli ebrei e limitarne anche la libertà. Dal 1933, anno in cui il regime nazista prese il potere in Germania, era in corso una propaganda antiebraica che assumeva toni sempre più feroci. Da allora, in Italia iniziarono ad esser pubblicati primi articoli più spiccatamente antisemiti e si inizia ad insinuare la teoria che gli ebrei volessero conquistare il potere per arrivare a dominare il mondo.
Il regime di Mussolini si avvicinava sempre di più a quello nazista di Hitler, anche se fino al 1938, il Duce smentiva di voler far proprio l’antisemitismo nazista.
In questi giorni, dopo la mostra intitolata “1938 – La storia” ora è possibile visitare a Roma, presso la Fondazione Museo della Shoah, la mostra “1938 Vite spezzate – 80° Leggi razziali”, per non dimenticare, anzi, per ricordare anni bui nella vita del nostro Paese. Ma, anche per rendere ragione, sia ad insigni intellettuali, che a gente comune, vittime di una legislazione persecutoria nei confronti di chi apparteneva alla religione ebraica, come di chi, seppure non credente o non praticante, fosse nato “da genitori di razza ebraica”, assimilando il concetto di religione ebraica a quello di “razza ebraica”, in contrapposizione a quella ariana della Germania nazista.
Dal 1938, data della promulgazione delle leggi, chi professasse la religione ebraica, o manifestasse simboli semiti, era considerato alla stregua di ebreo e, di conseguenza, poteva subire le discriminazioni venendo annotato negli appositi registri di stato civile quale ebreo.
Nel 1938, la popolazione italiana veniva distinta in “razza ariana” o “razza ebraica”, in modo che l’esclusione dei non ariani dalla società civile potesse procedere più celermente. 

Si stabiliva la “razza” sulla base dei genitori e, a differenza dai nazisti, il regime mussoliniano non prevedeva la “razza mista”: o si era ariani, o ebrei.
Gli italiani vessati dalla nuova legislazione furono circa 51mila. Tantissimi i nomi noti della cultura, letteratura, medicina, sport ei tanti professionisti che non potevano più esercitare.
In breve tempo, anche nomi alcuni tra i quali molto celebri, quali Umberto Saba, Alberto Moravia e lo stesso poeta fascista della prima ora Arturo Foà, furono vittime della discriminazione ed ebbero sempre più difficoltà nel pubblicare le proprie opere. Foà, ad esempio, nonostante dimostrasse fedeltà al regime, fu deportato al campo di sterminio di Auschwitz, dove trovò la morte.
Alcuni editori caddero in disgrazia: ad esempio, Edoardo Bemporad si vide costretto a modificare il nome della sua casa editrice in “Marzocco” per continuare a pubblicare, ma comunque ebbe tantissime difficoltà nel proseguire a lavorare.
Gli ebrei non furono più ammessi alle accademie militari, fino a poter più prestare neanche servizio militare: gli ebrei sono collocati in “congedo assoluto”, senza eccezione. Eppure, tanti furono valorosi combattenti, durante la Grande Guerra, sia soldati che ufficiali i quali si distinsero in combattimento.
Fu la stessa sorte che colpì musicisti, compositori, pittori, procuratori, medici, professori e tanti altri. La dittatura nazifascista voleva cancellare ed annientare tutta la cultura ebraica, iniziando col bruciare tutti i libri di autori ebrei, poi cacciando da scuole ed università tutti i professori ebrei, infine espellendo gli stessi studenti, permettendo loro solo di terminare gli studi solo in scuole con insegnanti e studenti esclusivamente ebrei.
Persino gli sportivi subirono la medesima sorte.
Furono vietati i matrimoni “razzialmente misti”, tra cristiani ed ebrei.
Dal giugno 1940 si comincia a parlare di internamento, prima per gli ebrei italiani classificati “pericolosi”, quindi color che erano considerati antifascisti, in località appositamente predisposte, quali Urbisaglia (Macerata), Campagna (Salerno), Pizzoferrato (Chieti) e altre località. Furono deportati in queste località persone note come l’avvocato Nino Contini, lo studioso Renzo Bonfiglioli, il pediatra Bruno Pincherle e tanti altri reputati pericolosi per il regime.
La mostra esplica bene lo stupore e le perplessità di chi aveva inizialmente sostenuto la presa del potere del regime fascista, ma che poi era passato al ruolo di vittima e perseguitato dallo stesso regime: fu un dolore per i tanti soldati che combatterono con valore nel corso della Grande Guerra e che si vedono cacciare dall’Esercito regio, ma anche lo strazio di chi, fino a pochi giorni prima aveva un lavoro e poteva andare a scuola, ma che, improvvisamente, non può più esercitare la sua professione, studiare con i propri compagni, andare a giocare normalmente, entrare nei normali negozi vicino casa, senza rischiare di subire vessazioni od insulti. 

“La mostra – spiega Mario Venezia nel catalogo della Mostra – non è un percorso che narra solo la sofferenza. È anche il racconto delle reazioni degli ebrei italiani che scelsero le mie più diverse per sopravvivere, adattarsi e, in alcuni casi, opporsi a dei provvedimenti vissuti come un vero e proprio tradimento da parte della società nella quale vivevano da secoli”.
Le forme di protesta furono diverse, anche radicali, come il suicidio, ma principalmente con l’intento di riuscire a dare ai loro figli una vita dignitosa, chi nascondendosi in attesa, chi emigrando, chi resistendo quotidianamente alle vessazioni. 


Germano Baldazzi

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