PAROLE

Analisi del vittimismo …

Più o meno due anni fa Massimo Recalcati scriveva: “Esistono le vittime di abusi, sopraffazioni, sfruttamento, violenza e ingiustizia sociale. […] Ma esiste anche la tendenza a ‘fare la vittima’ […]. Si tratta di una tendenza che non riguarda solo la psicologia individuale ma che ha assunto, nel nostro tempo, il carattere di una vera e propria epidemia di massa. Il nostro tempo sembra sponsorizzare in modo crescente l’inclinazione a farsi vittime elevando la lamentazione sul destino avverso a un nuovo tratto della psicologia contemporanea delle masse che ha sostituito l’identificazione fanatica al capo che aveva cementato i processi collettivi del Novecento” (e qui forse si potrebbe scrivere ‘affiancato’, al posto di ‘sostituito’).
Continua Recalcati: ” L’economia del vittimismo – come quella puramente sacrificale – aspira a trasformare la perdita subìta in un guadagno […].  È la radice comune a ogni forma di populismo: elevare la lamentazione vittimistica a metodo politico. Mai riconoscere una propria colpa, una qualche forma di responsabilità, mai ammettere un proprio errore, una propria mancanza, un proprio disfunzionamento. È sempre l’Altro che non comprende, che non è adeguato al suo compito, che è corrotto, che si è macchiato impunemente di responsabilità irrecusabili”. 

Siamo in presenza di una nuova forma di vittimismo, continua lo psicanalista, diversa da quella del passato, che non punta alla purificazione, bensì all’autoassoluzione, alla colpevolizzazione dell’Altro: “Sconsolato e rabbioso il vittimista ipermoderno ruggisce come un leone contro coloro che sarebbero responsabili delle sue disgrazie o di quelle del suo paese. La denuncia urlata ha preso il posto del risentimento trattenuto della coscienza moralistica. […] Il vittimismo è una postura dell’uomo ipermoderno che non sa più affrontare l’urto tragico e scabroso col proprio destino. Se qualcosa va storto bisogna trovare un colpevole e bisogna che questo colpevole non coincida mai con noi stessi”. 
Occorrerebbe invece dire “Basta!” al lamento, e prendere in mano la propria vita, il nostro itinerario comune. Bisognerebbe appendere anche noi, alla porta del nostro studio, come si  dice abbia fatto papa Francesco, il cartello “Vietato lamentarsi”.
Francesco De Palma
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