LETTURE

Villaggi fatti di legami in un mondo globale: per vincere l'”età della rabbia” …

Ho finalmente letto per intero “L’età della rabbia. Una storia del presente”, di Pankaj Mishra, saggista indiano, editorialista del New York Times. L’avevo soltanto scorso, mi era sembrato un interessante volo d’uccello sulla storia e su questo inizio di XXI secolo, ma – mea culpa – non avevo colto come l’autore legasse l’analisi dei fondamentalismi culturali/religiosi e dei populismi, dei sentimenti dominanti tra larghi strati delle popolazioni occidentali e dei paesi in via di sviluppo (frustrazione, risentimento, rancore), non soltanto a dinamiche puramente “materiali”, come l’allargamento delle diseguaglianze, etc., bensì pure alle modalità con cui i processi di globalizzazione sono percepiti, alle ricadute della “liquidità” della nostra società nella psiche collettiva dell’uomo e della donna d’oggi. 

L’incipit è intrigante: “Ho cominciato a pensare a questo libro nel 2014, dopo che gli elettori indiani, tra i quali anche i miei amici e parenti, hanno mandato al potere i fondamentalisti indù; ne ho terminato la stesura nella settimana del 2016 in cui la Gran Bretagna ha scelto con un referendum di uscire dall’Unione Europea; ed è andato in stampa la settimana in cui Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti”. Non c’è che dire, l’età della rabbia è proprio la nostra. E la rabbia vota.
Mishra sostiene innanzitutto che “la crisi odierna è una crisi che la democrazia liberale ha creato con le proprie mani. La si può affrontare in un solo modo, per conto mio: con una rigorosa critica del liberalismo economico. Bisogna mettere sotto accusa una classe dirigente che ha dato mano libera all’economia di mercato, permettendo all’estrema destra di vincere consensi tra popolazioni che si sentono abbandonate dalla sinistra. Il fenomeno Trump, così come il suprematismo bianco e il nazionalismo americano che lo supportano, sono esempi di questa reazione, così come il terrorismo islamico”.
E fin qui siamo nell’assodato. La critica del liberismo orami la si può sentire anche a Bruxelles o a Wall Street. 
Ma è interessante come lo scrittore indiano vada oltre. Dica che “serve un ripensamento totale dell’io e del mondo. Anche dell’io del singolo: “La guerra civile globale è anche un evento profondamente intimo. La sua linea Maginot attraversa i cuori e le anime delle persone. Se vogliamo un futuro meno tetro non dobbiamo soltanto interpretare un mondo sprovvisto di certezze; dobbiamo soprattutto riflettere con più profondità sulla nostra complicità con le forme di violenza e privazione di tutti i giorni, sulla nostra insensibilità davanti allo spettacolo della sofferenza”. Perché “uno stato di libertà individuale nel vuoto è ora endemico nel mondo sviluppato e in via di sviluppo, e anche in quello sottosviluppato”. E “in assenza di chiari punti di riferimento religiosi o politici gli uomini sono spersi di fronte a un’indipendenza senza limiti
“Io sono cresciuto nel Nord dell’India, conclude Mishra, con un villaggio come orizzonte; un’entità reale, comunitaria, dove tutto e tutti avevano un posto e un limite. Bisogna ricominciare a ricostruire villaggi, in un mondo globale”.

Francesco De Palma
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