FATTI

Parole: Zygmunt Bauman, sull’ultimo numero di “Tracce”

Si riportano qui alcuni passaggi dell’intervista che il grande sociologo di origini polacche ha concesso a “Tracce”, nel quale si riprendono i temi del suo intervento all’incontro mondiale di Assisi (settembre scorso) per i 30 anni della preghiera interreligiosa per la pace voluta da Giovanni Paolo II …. 


“Gli stranieri – soprattutto i migranti, i nuovi venuti – tendono a mettere in questione quello che “noi”, i nativi, siamo, almeno nel regno dell’opinione (ovvero nel sapere in cui crediamo, ma su cui non riflettiamo). Ci spingono, anzi, quasi ci obbligano a spiegare in che modo perseguiamo gli obiettivi della nostra vita. A rendere ragione di convinzioni e comportamenti che per noi sono ovvi, evidenti e perciò auto-esplicativi. Facendo così, quindi, disturbano. Sconvolgono la nostra tranquillità spirituale […].
Che cosa può vincere la paura? Di sicuro, non gli obiettivi a breve termine, i tagli e le soluzioni istantanee. Ecco, in questo mi ha colpito molto l’intervento di Papa Francesco al Premio Carlo Magno. Dopo aver evidenziato l’incremento, l’assimilazione e la pratica quotidiana della ‘cultura del dialogo’ come la strada maestra per la coesistenza pacifica degli uomini […] ha sottolineato la necessità di introdurre l’arte del dialogo a tutti i livelli dell’educazione. Ovviamente, l’educazione è una strategia opposta alle campagne una tantum; va programmata per avere effetti duraturi e preferibilmente irreversibili, ha bisogno di tempo – forse addirittura un tempo che si estende a più generazioni; richiede molta pazienza e una determinazione salda, capace di resistere all’impatto congelante di inciampi, errori e mancanze occasionali, inevitabili. In più, occorre notare che in un’epoca come la nostra, segnata dall’accesso universale ai mezzi d’informazione e da una massiccia, onnipresente pressione di pubblicità e “pubbliche relazioni”, l’educazione non è più (come è sempre stata) un’attività limitata alla scuola; per quanto i programmi scolastici possano essere elaborati con cura, non sono più soli a incidere sulla formazione della mentalità e del carattere. Che abbiano successo sulla pletora dei loro concorrenti è tutt’altro che scontato.
Penso che Francesco sia il regalo più prezioso che la Chiesa cristiana abbia offerto al nostro mondo travagliato, perso nelle sue vie, confuso, mancante di bussola e ormai alla deriva. Ha ridato vigore alla speranza, ormai appassita, di un mondo alternativo e migliore, fatto a misura dei bisogni e dei sogni dell’uomo. Credo sia la sola figura pubblica sulla scena mossa da questo desiderio e in grado di perseguirlo. La sua voce va molto oltre il circolo incestuoso delle élites politiche: raggiunge le masse che i gestori degli altoparlanti non riescono o non si preoccupano di raggiungere, quelle lasciate da sole a trovare una via d’uscita dalla loro attuale incertezza”.
Francesco De Palma
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