Assassinio sull’Orient Express, film del 2017, diretto da Kenneth
 Branagh. (titolo originale, Murder on the Orient Express). 
  Al film si lega una poetica del
 decadentismo che, anche esteticamente, conduce, cullati dal dondolio soffice
 dell’Orient Express, attraverso spettacolari scenografie, la nevicata, sentieri
 a strapiombo, dove il treno arranca, deraglia e torna poi in corsa,
 sferragliando verso l’oriente… e verso orizzonti intellettualmente
 provocatori.
  
   
  Un Oriente che balugina
 avvincendo coi suoi  segreti e le sue
 malie fin dal principio di questo film, del quale trama e soggetto sono noti e
 popolarissimi, per via del libro di Agatha Christie.
  Assassinio sull’Orient Express
 del 2017 presenta un cast fenomenale e ben diretto (fra gli altri, Johnny Depp,
 Penélope Cruz, Judi Dench, Daisy Ridley, Michelle Pfeiffer, Willem Dafoe, Josh
 Gad e Derek Jacobi). Magnetica Michelle Pfeiffer, Caroline Hubbard nel film,
 altrettanto la aristocratica Natalia Dragomiroff, impersonata dalla ieratica
 Judi Dench, nonché inquietante la figura di Samuel Ratchett (ovverosia John
 Cassetti), interpretata da un ombroso Johnny Depp, apprezzabile anche Penelope
 Cruz, nei panni di Pilar Estravados, afflitta da incoercibile  quanto ben dissimulato senso di colpa.
  Il motore della vendetta, che
 porta all’assassinio, suscitando il viaggio, si fa originale, in quanto, in
 questo caso, siamo in presenza -come noto- di una vendetta architettata a più
 mani. Ma diretta da una sola mente: della Hubbard  (M.Pfeiffer), la quale chiede, svelato
 l’arcano, di potersi assumere tutte le colpe. E di lasciar liberi tutti gli
 altri. Artefici, però, materiali, del gesto omicida.
  Nel tutto, affiorano motivi
 multietnici, questione ebraica, temi della paura, .. e le fobie dei viaggiatori
 meriterebbero ciascuna una parola e un cenno agli anni della Prima Guerra
 Mondiale (epoca di ambientazione del romanzo). Al centro, il treno: simbolo
 stesso di precarietà, sospensione, instabilità dello spirito, pur nel movimento
 fisico (orientato dai binari), che rende quel treno luogo ideale per uno studio
 delle dinamiche, dei controsensi e degli intrecci sociali e psicologici.
  Bellissima la frase sul groviglio
 di persone che non si conoscono ma si ritrovano su un treno avendo tutti una
 sola cosa in comune: la destinazione finale. Dunque tante problematiche si
 intrecciano in questa struggente vicenda. Puntata speciale per Poirot: lui,
 l’infallibile, rivela la sua specialità, il segreto del suo fiuto, in un breve
 dialogo iniziale. Confida (ad un suo estimatore) che gran parte del suo genio
 deriva dal suo scorgere lo scarto dalla norma, l’anomalia, la fessura nel muro.
 Di essere, insomma, un po’ un visionario della cronaca nera. E confessa,
 altresì, che questa sua aurea abilità ha un rovescio della medaglia : il
 tormento di non sopportare appunto le imperfezioni, le trascuratezze, le
 asimmetrie. Sarcasticamente mostra anche la fissazione di chiedere a tutti di
 aggiustare la cravatta. Ci si potrebbe soffermare a lungo sulla questione della
 bellezza e della capacità-condanna di cogliere il vizio di forma, l’anacronismo
 in una storia.
  
   
  Questa cosiddetta “fessura nel
 muro” diventa motivo di sofferenza inglobando anche il rimpianto, finendo per
 coincidere con una nostalgia di bellezza, del volto di lei (beltà) mancante,
 dimidiata, nell’assedio degli anni e della frenesia dei tempi ;  pretesa estetica di completezza e di
 lentezza, che sempre lo perseguiterà facendolo gioire ma anche soffrire,
 assaporare una raffinata fetta di torta, tuffarsi nelle care pagine del suo
 Dickens, trovare conforto per pochi istanti in un raffinato calice, aver
 successo nelle sue intuizioni, ma non avere tregua…e non potersi concedere
 una piena vacanza!
  Gli assassini e la morte lo
 inseguono altrettanto di come il brutto tormenta il mondo di un esteta; questo
 Poirot, così defilato e nostalgico, incline a dialoghi e corrispondenze col
 passato, con la sua amata scomparsa Catherine, spiazza e commuove. Un altro
 aspetto efficace è nel registro da minimalismo romantico: ad esempio la sua
 ermetica risposta ad una domanda più diretta: “Ci fu un tempo, qualcuna” .. e
 forse per l’emozione non prosegue. Sprofonda. Ma lascia intendere più che non
 dica.  Come non vedere in tutto ciò un
 indulgente elogio dell’irrazionale, una elegia del passato che fa da
 contraltare alla severità solita del nostro investigatore. Infine colpisce il
 conflitto intimo che sboccia in dualità : Hercule mette in crisi Poirot.
 Passando per una crisi mistica, intima e privata, lo stesso Poirot affronta i
 suoi fantasmi, rimugina su cosa sia la giustizia. Infatti, risolto e rivelato
 il caso agli astanti, egli è chiamato a risolvere un dilemma maggiore dello
 scovare il colpevole. Ed è: se seguire alla lettera la legge, applicando le
 regole della giustizia per come sinora egli le conosceva, intendeva e mai le
 aveva tradite (dunque dar voce, banalmente, al resoconto della verità) ; o
 piuttosto inabissarsi fino a reperire, in se stesso, e in questo anomalo caso,
 una verità nuova, più strutturata e complessa. Probabilmente più discutibile,
 ma non meno tenace.
  Hercule, vacillante in questa
 iniziazione, viaggia verso una nuova era, destinato ad un nuovo Poirot. Passa,
 sembrerebbe, dall’epoca della giustizia basilare, medievale, dell’occhio per
 occhio, nonché dal sistema binario colpa-punizione, reato-castigo, ad una
 giustizia illuminista, di avanguardia pura. O, forse, semplicemente, più umana,
 ibrida nel suo dna, velata dal dubbio, ma emancipata dal burka della
 trasparenza.
  Deciderà di mentire alle
 autorità, attribuendo la responsabilità dell’assassinio ad un viaggiatore
 scappato e non individuato.
  Hercule recita, improvvisando la
 sua imperfezione, e, mentendo, devia dal suo binario di cultore della verità,
 per farsi cultore della meditazione; seguace della pratica del dubbio.
 L’Oriente misteriosofico mette in scacco le certezze di un Occidente sfibrato:
 la valanga di neve è valanga di teorie che spezzano la schiena al progressismo
 sfrenato, lo inchiodano ad una calma surreale.
  Dalle occupazioni del suo ego
 (prelibatezze, letture, reminiscenze del passato) Hercule approda alle ipotesi
 di una verità plurima ed altra. Dal proprio sé agli infiniti “se”…
  Esce di scena, lascia liberi
 tutti i responsabili (l’intero gruppo dei viaggiatori), raccomanda la pace.
  Come se sentisse sulla sua carne
 una punta delle loro colpe, l’eco dei loro tormenti, come contagiato da quelle
 inquietudini, turbato da quelle turbolenze di un treno dove egli non ha solo
 viaggiato, ma è scivolato, soccombendo alla misteriosa complessità della vita.
 Di una vita ambivalente e attraente come Miss Hubbard (M.Pfeiffer), con la
 quale viene in qualche modo a patti il mondo squadrato, altrimenti
 incorruttibile, di Poirot.
  Hercule, corrompendosi in maniera
 sublime e indimenticabile, ci trascina con sé, nel finale: una cartolina
 ineguagliabile di un tramonto.. Lo vediamo allontanarsi, antieroico, un pochino
 barcollante, e lo supponiamo toccato da un sole e da una luce brucianti. No,
 non sarà più lo stesso Poirot e noi non saremo più gli stessi suoi lettori, lo
 stesso suo pubblico di prima. Forse tornerà a leggere Dickens, di sicuro lo
 farà, si suppone ci siano, e ci saranno altri poeti, altre torte, altri
 treni… Ma avrà un senso più caldo anche il suo silenzio,  la sua solitudine sarà -d’ora in avanti-
 abitata da tante vite, scivolategli addosso. 
  Incisive le sue parole finali:
 “Vi auguro di trovare la pace. Lo auguro a tutti noi”.
  In quel noi Poirot si mette con nonchalance fra gli assassini, fra gli
 inquieti, in cerca di pace. E qui si
 incarna il ribaltamento (coup de
 theatre) che ci appalesa una giustizia
 non fotogramma puntuale ma processo in itinere. Prima di tutto personale ed
 intimo, molto più delicato di quanto non siamo disposti a riconoscere, fatto di
 adesioni e rovesciamenti continui, di valanghe di senso e mai di ruoli fissi..
 contro ogni stereotipo e verità unica. Processo imprevedibile nei suoi assetti,
 di verità plurime, deragliamenti di forze alterne e di differenti morali. E
 che, se ci terremo, come Poirot, a terminare l’impresa, e firmare una pace, ci
 verrà  a ‘disturbare’ pure in vacanza.
  A ricordarci che, citando Hannah
 Arendt, “Tutti i fatti possono essere cambiati e tutte le menzogne rese
 vere.”
   
  Silvia Chessa
  
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