La vicenda di Rami Shehata, il quattordicenne di origini egiziane che
 con il suo sangue freddo ha salvato cinquanta «ostaggi» a bordo del bus
 dirottato alle porte di Milano, ha risollevato di nuovo la necessità di una
 legge sullo ius soli. Della cittadinanza
 da dare ai bambini nati da genitori stranieri in Italia o giunti da piccoli nel
 nostro paese, ne parlano anche Raffaele Cantone e Vincenzo Paglia, nel loro
 volume La coscienza e la legge, che
 tratta diffusamente il tema dell’’immigrazione, nonché di altri temi nevralgici
 del nostro tempo come la sicurezza, la corruzione, il perdono, pena di morte,
 questione carceraria, l’ingiustizia. Raffaele Cantone e Vincenzo Paglia si
 confrontano a partire dalle loro differenti esperienze e visioni del mondo,
 cercando di comprendere e definire insieme cosa è giusto.    Serve una maggiore intelligenza politica per affrontare la
 condizione degli immigrati presenti già nel nostro paese. Invece di una saggia
 lungimiranza, si sta scegliendo una prospettiva miope e dannosa per tutti, come
 nel caso della cittadinanza da dare ai bambini
 nati da genitori stranieri. È una
 situazione chiarissima, avverte Paglia. Eppure non si riesce a sbloccarla per
 paura, anche da parte dei politici di perdere consensi. «È irresponsabile – spiega Paglia – e nocivo per il paese e per gli stessi ragazzi. Oltre il 22% degli
 immigrati in Italia è costituito da minori (più di 932.675). Di questi ormai
 più di 573.000 sono nati in Italia, sono bambini e bambine che si sentono
 italiani, che lo sono di fatto, ma che non sono cittadini e con molte
 difficoltà lo diventeranno a 18 anni. La normativa attuale è del tutto
 irragionevole. Per un ragazzo nato 18 anni fa da genitori stranieri e che ha
 sempre vissuto in Italia ma non ha avuto la residenza anagrafica, non è
 automatico divenire cittadino italiano. Lui, che cittadino lo è di fatto, dovrà
 chiedere il permesso di soggiorno che così cambierà da motivi familiari a
 motivi di lavoro, se ha un lavoro, o un permesso di studio. Due tipi di
 permesso più “deboli” rispetto al precedente. Se non ha lavoro e se non fa un
 percorso di studio, diventa irregolare, clandestino, e quindi rischia di essere
 espulso nel proprio paese di origine che non conosce e dove non è conosciuto. È
 solo un esempio. Ma come ci si può integrare in questa situazione e con questa
 legge? ». Da
 uomo di chiesa, Paglia sostiene che l’accoglienza allo straniero – “l’estraneo”
 al quale ci si fa “prossimo” – è scritta nel cuore stesso della fede cristiana.
 «Gesù ne fa addirittura una condizione
 della salvezza, come appare dal noto brano di Matteo sul giudizio finale:
 “Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi
 fin dalla fondazione del mondo, perché (…) ero straniero, e mi avete
 ospitato” (25,34-35). È una parola universale che non riguarda solo i credenti,
 anzi si riferisce direttamente a chi non crede (o crede diversamente). Papa
 Francesco, affermando che non difendere i migranti non è cristiano, si iscrive nella
 immutata tradizione evangelica che traversa la storia da duemila anni». Il
 papa chiede saldezza sul comandamento dell’ospitalità e assieme creatività
 umanistica nel governare l’accoglienza. Coscienza morale e legge civile non
 debbono confliggere, semmai dialettizzarsi per trovare una soluzione.
  E’ diventata una tristissima moda di alcuni politici scaricare sui
 migranti il sentimento di paura e di insicurezza degli italiani. Sarà pure pagante
 in termini di consenso. Tuttavia, immette nella società sentimenti distruttivi
 che sfuggono al controllo. Non mancano episodi di violenza razzista che
 dovrebbero far riflettere seriamente su tale deriva. La predicazione dell’odio
 sociale è divenuta il veicolo su cui transitano aggressività e violenza,
 ricorda Paglia. L’odio sociale va ben al di là dell’obbiettivo disagio dal
 quale è sorto, seguendo percorsi imprevedibili. L’insicurezza c’è, eccome,
 ricordano i due autori ed è un problema reale con cui fare i conti. Ma le cause
 sono ben oltre il fenomeno delle migrazioni. Bauman avvertiva: «Siamo ‘oggettivamente’ le persone più al
 sicuro nella storia dell’umanità. Come le statistiche dimostrano, i pericoli
 che minacciano di abbreviare la nostra vita sono più scarsi e lontani di quanto
 generalmente non fossero nel passato o non siano in altre parti del pianeta…
 Tutti gli indicatori oggettivi che si possono immaginare mostrano un aumento
 apparentemente inarrestabile della protezione di cui uomini e donne della parte
 ‘sviluppata’ del pianeta godono su tutti e tre i fronti lungo i quali si
 combattono le battaglie in difesa della vita umana: rispettivamente contro le
 forze sprezzanti della natura, contro la debolezza congenita del nostro corpo e
 contro i pericoli che vengono da aggressioni di altre persone» (Z. Bauman, Paura liquida, Laterza, Bari-Roma 2018,
 p. 161). Eppure, con tutto ciò la paura aumenta.
  Le riflessioni contenute nel volume prendono spunto dall’analisi dei
 dati del fenomeno. In Italia, l’immigrazione da circa quattro anni è
 sostanzialmente stabile. Nel nostro paese ci sono poco più di 5 milioni di
 immigrati. Le difficoltà economiche sopravvenute hanno ridotto i nuovi ingressi
 in maniera drastica. Malgrado la visibilità degli sbarchi e dell’arrivo di
 richiedenti asilo, l’ingresso dei migranti incide poco su questo quadro
 generale. Si tratta infatti, tra rifugiati riconosciuti e richiedenti in
 accoglienza, di circa 350.000 persone, meno del 7% del totale. Ricorda Paglia – facendo tesoro dell’esperienza della Comunità di Sant’Egidio – che fino al 2014-2015 chi sbarcava in Italia proseguiva il viaggio verso il
 Nord Europa, e anche oggi la mobilità in una certa (faticosa) misura prosegue. In
 tal senso, fornire «i numeri degli
 sbarchi risalendo indietro nel tempo e facendo credere che si tratti di persone
 rimaste in Italia e nascoste da qualche parte è una grossolana falsificazione.
 Qualche piccolo spunto di chiarimento sul fenomeno migratorio in Italia mostra
 quanto sia ancora tendenziosa la comunicazione al riguardo. Molti, ad esempio,
 pensano che gli immigrati in Italia siano maschi, africani o al più arabi, e
 certamente musulmani. I dati ci dicono invece che si tratta in maggioranza di
 europei, di donne, di persone provenienti da paesi di tradizione cristiana. La
 seconda religione d’Italia per numero di aderenti, per quanto è possibile
 stimarli, è quella cristiana ortodossa, con circa 1,6 milioni di fedeli. I
 musulmani sono intorno a 1,5 milioni. La maggior parte degli immigrati in
 Italia non è quindi costituita da uomini soli, bensì da famiglie spesso
 accompagnate da minori: abbiamo 826.000 minori nelle scuole, benché la crescita
 anche in questo caso si sia pressoché arrestata, e la maggioranza di essi
 (oltre 500.000) è nata in Italia. Da ultimo, i dati contraddicono l’idea che
 l’immigrazione non sia nient’altro che una conseguenza della povertà
 dell’Africa che si riversa sulle nostre coste. La graduatoria dei paesi di
 origine, invece, classifica nell’ordine Romania, Albania, Marocco, Cina,
 Ucraina, Filippine, Moldavia. Nessuno di questi paesi è poverissimo, dove si
 muoia di fame per la strada. Ed è così anche nel resto d’Europa e del mondo. I
 migranti provengono prevalentemente da paesi intermedi per livello di sviluppo.
 E non sono neppure di regola i più poveri dei rispettivi paesi. Per migrare
 occorrono risorse, che i più poveri raramente riescono a mettere insieme».   Cantone si sofferma in particolare sul decreto sicurezza,
 responsabile di aver ridotto gli spazi per la protezione umanitaria tramite
 condizioni più stringenti, e soprattutto senza
 compensare questo restringimento con accordi bilaterali per rimpatriare chi non
 ha diritto di restare in Italia, avrà infatti come unico effetto l’aumento
 degli irregolari: coloro ai quali non verrà concesso l’asilo, esaurita la
 procedura e ottenuto il diniego, diventeranno clandestini che nessuno Stato
 sarà disponibile a riaccogliere perché mancano intese apposite, oppure, se
 esistono, l’Italia non sarà in grado di allontanarli». La norma rischia
 dunque di produrre l’effetto opposto a quello annunciato. «È stato calcolato che coi ritmi attuali, sostanzialmente in linea con
 quelli degli anni precedenti, anche se gli arrivi si interrompessero ci
 vorrebbe un secolo solo per riportare nei paesi d’origine tutti gli irregolari
 allo stato presenti sul territorio nazionale. Senza contare che ogni singola
 espulsione che si riesce a mettere in atto costa migliaia di euro soltanto di
 biglietti aerei, almeno cinque per ogni rimpatrio: tre all’andata e due al
 ritorno per i soli agenti di pubblica sicurezza». Come talvolta accade in
 Italia si sposta altrove il problema senza preoccuparsi di risolverlo davvero,
 come accaduto con la Bossi-Fini. In caso di tumulti o di morti nelle
 baraccopoli, le responsabilità ricadranno sempre contro i migranti anziché
 contro le condizioni in cui sono costretti a vivere. Fra l’altro, osserva
 giustamente Cantone, «nelle pieghe della
 nuova normativa, si cela un dettaglio non secondario: l’impossibilità per i
 richiedenti asilo di iscriversi all’anagrafe per ottenere la residenza, con
 l’effetto di essere tagliati fuori da tutta una serie di servizi sociali. Un
 principio gravissimo, che ufficializza la divisione fra cittadini di serie A e
 di serie B: a parità di diritto a vivere in Italia, ci sarà chi avrà
 determinati diritti e chi no. Si tratta di un tema rilevante, di cui sembrano
 consapevoli quei sindaci che hanno annunciato l’intenzione di disapplicare la
 nuova legge. Credo che la disobbedienza civile preannunciata sia una risposta
 non accettabile, ma il problema posto è reale: l’iscrizione anagrafica è di
 competenza comunale e il decreto Sicurezza non ha abrogato la parte del Testo
 unico sull’immigrazione che prevede che il possesso del permesso di soggiorno
 sia sufficiente per ottenerla. L’intenzione di sottoporre a un giudizio di
 legittimità costituzionale la nuova previsione di legge potrebbe pertanto
 essere il modo per dirimere una questione tanto delicata».
  Scriveva un grande credente italiano, David Maria Turoldo: «La terra è una nave sulla quale siamo
 imbarcati tutti, magari c’è chi viaggia in prima classe, chi in seconda e chi
 nella stiva, e sarà opportuno fare in modo che tutti viaggino bene, ma non
 possiamo permettere che affondi, perché non ci sarà un’altra Arca di Noè che ci
 salverà» (Profezia della povertà,
 Servitium, Sotto il Monte 1998, p. 30).
  
  Antonio Salvati
   
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