Gli insegnanti oggi dispongono di
 maggior strumenti e studi per meglio esercitare la loro professione. Conosciamo
 di più i meccanismi neurofisiologici attraverso i quali elaboriamo nozioni,
 competenze e abilità. Lo sviluppo delle Rete, inoltre, ci mette a disposizione
 una messe di informazioni e la possibilità infinita di scambiarle, mai viste
 prima. Possiamo metterci in contatto e spesso dialogare con esperti di ogni
 settore della conoscenza, un tempo irraggiungibili. E, soprattutto, abbiamo
 l’opportunità di leggere libri assai stimolanti, come quello del pedagogista
 Daniele Novara, che nel suo ultimo saggio Cambiare
 la scuola si può. Un nuovo metodo per insegnanti e genitori, per un’educazione
 finalmente efficace (Rizzoli, 2018) suggerisce un modello concreto di nuova
 scuola.
  Confesso che non ho completamente
 condiviso alcune riserve e critiche sulle lezioni frontali, lo studio mnemonico
 e il nozionismo. Si potrebbe sviluppare una lunga riflessione che si
 allargherebbe anche all’operato di alcuni dirigenti scolastici, spesso incapaci
 di valorizzare le proprie risorse umane. Ma non è di questo che vorrei parlare.
 Ne tanto meno fare una strenua difesa della lezione frontale. Credere che
 imparare significhi ascoltare non è – a mio parere – un pensiero antico e
 medievale. 
  
   
  Ma torniamo all’esperienza e ai
 suggerimenti di Novara. Essi sono preziosi e testimoniano che, a differenza di
 quanto si crede, la scuola è un mondo abitato da persone in grado di generare
 motivazione e passione. Eppure quando si parla di scuola anche editorialisti e
 opinionisti famosi non riescono andare oltre la critica sterile, formulando discorsi
 conformisti e limitandosi spesso ad evocare – e invocare – i fasti (spesso
 inesistenti) del buon tempo andato. Non è del tutto vero che la scuola italiana
 è rimasta immobile negli ultimi anni. Tuttora l’immagine che trasmette la
 scuola italiana, pur con tutte le lodevoli eccezioni del caso, è quella di un
 Moloch conservatore, che gattopardescamente cambia qualcosa affinché nulla
 veramente cambi. Con al centro gli interessi di chi ci lavora a scapito di chi
 vi studia.
  Intanto partiamo dalla
 consapevolezza che oggi ci sono ragazzi che non hanno voglia di andare a scuola,
 che hanno paura di sbagliare e di essere giudicati. Allora è il momento giusto
 per fare qualcosa, e cambiare la scuola si può. Partendo dal metodo maieutico. ”Maieutica”
 è una parola antica, che in greco, associata alla parola téchne, significava ”arte dell’ostetricia”, quell’impasto di
 conoscenze teoriche e pratiche delle donne che facevano nascere i bambini. «Fu appunto il filosofo Socrate – spiega
 Novara – a rendere famosa la maieutica.
 Prendendo a prestito il termine dal lavoro della levatrice lo applicò alla
 conoscenza. Come facciamo a imparare? Che accade quando impariamo qualcosa di
 nuovo? Qual è il ruolo del maestro? Socrate sosteneva che nessuno può
 insegnarci niente. Tutto quello che possiamo imparare dipende da due elementi:
 il primo sta nel riconoscere i nostri limiti e le nostre effettive possibilità,
 liberandoci dalla convinzione di sapere tutto e ammettendo che “sappiamo di non
 sapere”. Il secondo consiste invece nel mettersi alla ricerca. La conoscenza è
 un movimento, un’azione della persona che si pone alla ricerca della verità,
 che può essere solo personale. Nessun altro può consegnarcela già pronta.
 L’aspetto molto interessante di questa prospettiva è che sposta l’attenzione
 dal maestro all’allievo. Imparare non significa ricevere e fare mio un sapere
 che qualcun altro mi sta trasferendo, ma piuttosto impegnarmi in un processo
 che fa “nascere”, “venir fuori”, la conoscenza da me stesso e dal mio impegno».
 Il metodo maieutico si avvale delle domande maieutiche. Esse hanno queste
 caratteristiche: «sono domande legittime
 (chi le pone non conosce la risposta) di interesse (sviluppano conoscenza) di
 problematizzazione (aprono punti di vista e scenari di conoscenza che possono
 risultare inediti) Viceversa, le domande di controllo si basano sulla
 prevedibilità e la tendenziosità, sono fatte per avere conferma e vogliono una
 «risposta esatta» su cui successivamente l’alunno sarà giudicato: okay se la
 risposta è giusta; stop se la risposta non coincide con la correttezza
 effettiva o presunta. L’apprendimento non è una questione di risposte esatte,
 ma di capacità applicative, cioè di saper usare le conoscenze in un contesto
 operativo, concreto, reale. E il maestro? Non è colui che sa qual è la verità e
 me la insegna, ma chi, come un’ostetrica, possiede la maieutiké téchne, sa cioè
 che cosa fare per creare le condizioni migliori della mia crescita».
  La scuola che predilige Novara è
 quella in cui lo studente diventa protagonista della propria educazione e dovrebbe
 incentrarsi sulle domande invece che sulla “giusta risposta”. Una
 scuola che favorisce la cooperazione tra pari, invece che la competizione, sviluppando
 l’apprendimento dell’abilità di lavorare efficacemente in gruppo, dando
 ciascuno il proprio contributo. A scuola, infine, sarebbe imprescindibile
 trovare un ambiente accogliente e stimolante, non l’atmosfera terrorizzante,
 costrittiva e angosciosa che ancora troppe volte grava sui banchi. A scuola si
 dovrebbe andare volentieri.
  La domanda maieutica è dunque il
 cuore della proposta del metodo maieutico. «Rappresenta
 un ribaltamento dell’impostazione più comune e usuale, spostando l’asse del
 lavoro scolastico da una ricerca di conferma, spesso ripetitiva, a un profilo
 di scuola-laboratorio. La domanda è il motore del processo, perché attiva aree
 di lavoro che influiscono sull’interesse degli alunni, bambini e ragazzi,
 spingendoli alla ricerca di risposte che non sono esatte, ma provvisorie e
 legate a un’ipotesi di lavoro».
  In questo senso il laboratorio
 indicato da Novara ha un valore euristico: tira fuori le domande, genera
 curiosità e scoperte che sono il cuore epistemologico del metodo. Comprendiamo
 meglio quanto siano lontane le prove invalsi, le crocette per scegliere le
 risposte giuste, i voti e le domande di controllo. È evidentemente un modo di
 concepire e di fare scuola diverso. Per favorire la realizzazione del metodo,
 il libro, approfondito nei dettagli e nelle dinamiche, è ricco di esempi
 pratici, racconti reali.
  
  Antonio Salvati
  
   
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