Non è possibile vivere
 un tempo complesso come il nostro senza interrogarsi, discutere, leggere,
 altrimenti si è trascinati dai venti e dalle correnti. Le semplificazioni e le
 paure si annidano nell’ignoranza. Per prepararsi all’impatto con il mondo
 globale, la nostra società ha bisogno di un investimento sulla cultura.
 Coltivare visioni è cultura, non solo memoria storica, incontri, amicizia,
 dialogo: un orizzonte in cui inquadrare le innumerevoli notizie e le vicende
 concrete degli uomini, per passare da un senso di disagio per il presente a una
 voglia di futuro.
  
   
  E’ questa la filosofia
 che muove Demos (Democrazia solidale), soggetto politico che crede fermamente
 che la politica va riscoperta e va anche ripensata, evitando le semplificazioni
 del leaderismo, della continua polarizzazione, della politica twittata o
 dell’autoreferenzialità. Con questo spirito ha organizzato in data odierna un’interessante
 convegno sulla questione ambientale, Non
 esiste un pianeta B #climatechange, con esperti ed attivisti per iniziare a
 prospettare soluzioni concrete.   L’approccio di DEMOS
 all’ecologia parte da questa frase dell’enciclica Laudato si, di Papa Francesco: «l’ambiente
 umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare
 adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che
 hanno attinenza con il degrado umano e sociale (LS 48) ». E’ evidente l’intuizione
 di Papa Francesco: non esiste una crisi ecologica a sé stante, ma essa è una
 conseguenza di un modello economico che produce come effetti le crisi
 ecologiche, le guerre, la povertà, le ingiustizie, le disuguaglianze. Questa è
 la realtà che emerge dai dati e dai fatti che sono oggi sotto gli occhi di tutti.
  
   
  L’economia
 attuale – ha spiegato Andrea Masullo – subordina la creazione e la
 distribuzione del benessere reale delle persone al perseguimento di obiettivi
 di carattere esclusivamente finanziario, come la crescita del PIL; ciò è reso
 evidente dal fatto che il Prodotto Lordo Mondiale, oggi che ci riteniamo in
 piena crisi, è 54 volte superiore a quello del 1960, quando ci ritenevamo in
 pieno boom economico. Inoltre su scala mondiale l’1% più ricco riceve il 20%
 del reddito, mentre il 50% più povero ne riceve solo il 10%; in Italia il 20%
 più ricco possiede il 66% della ricchezza nazionale. Il modello economico
 consumista, non solo danneggia il benessere presente, ma anche quello futuro. L’illusione
 di una impossibile crescita illimitata dei consumi già oggi fa sì che l’uomo
 utilizzi ogni anno il 35% in più delle risorse che il pianeta è in grado di
 rigenerare, impoverendo sempre più le opportunità delle future generazioni.
  Per
 Mario Tozzi, noto divulgatore scientifico, occorre dare forza a Greta e al suo
 movimento. Ma per far ciò occorre realizzare una forte pressione sul mondo
 della comunicazione, fondandola sui dati oggettivi. E soprattutto diffondendola,
 considerato che siamo un paese scarsamente alfabetizzato da un punto di vista
 scientifico. Per Tozzi l’emergenza ambientale principale è quella del consumo
 del suolo. Siamo un paese molto inurbato, dove due metri quadrati al secondo spariscono
 per via di asfalti e infrastrutture, pur non essendoci un grosso bisogno di
 costruire. Continuiamo a credere che l’edilizia sia il motore dell’economia.
 Occorre una conversione culturale, attribuendo una nuova chiave all’edilizia.
 Quando si perdono pezzi di suolo vergine, si perdono pezzi di benessere
 naturale che potrebbero tornarci utili. L’Italia ha il 29% di coste selvagge,
 in un paese di 8000 Km di coste. Il consumo indiscriminato del suolo aumenta il
 rischio idrogeologico. Abbiamo 500.000 frane su 750.000 censite in Europa. Gli
 antichi romani costruivano per l’eternità e noi continuiamo a costruire senza
 limiti. Chi parla di emergenza abitativa – differente dall’emergenza casa –
 deve sapere che in Italia abbiamo 32 milioni di case sfitte e l’85% degli
 italiani sono proprietari di case. Pertanto, il problema si può risolvere con
 quel che c’è, non costruendo nuovamente.
   
  Evidentemente
 è stato evocato l’Accordo di Parigi, per il quale si dovrà intervenire in tutti
 i settori delle attività umane a partire da quello della produzione di energia,
 ancora largamente basata sulle fonti fossili. Se la prima fonte da abbandonare
 è il carbone, di cui in Italia si prevede il phase-out nel 2025, si tratta di
 avere un piano per uscire progressivamente dall’utilizzo anche di petrolio e
 gas naturale con tutti i problemi sociali che comporta. Per Giuseppe Onufrio,
 direttore di Greenpeace Italia, l’Accordo funzionerà se la grande
 trasformazione che è in atto, arriverà in tempo e sarà gestita senza conflitti
 anche se modificherà l’ordine mondiale e il peso delle diverse economie, cosa
 che nella storia è spesso stata accompagnata da guerre e distruzioni. Meglio
 “bruciare” i capitali investiti nelle industrie inquinanti che spenderli per
 distruggerci. Vedremo se in un quadro politico sempre più instabile,
 emergeranno la saggezza e le leadership necessarie. Mai come oggi c’è bisogno
 di un rilancio dell’Unione Europea. Si tratta, in sostanza, di far invecchiare
 più rapidamente del normale gli investimenti di capitale nelle fonti fossili –
 ha spiegato Onufrio – e questo, chiaramente, non piace né ai finanziatori della
 campagna di Trump né ad altre industre. Forzare questa rivoluzione tecnologica
 significa “bruciare” risorse incorporate nell’industria fossile per far spazio
 alle alternative. I Paesi Arabi l’hanno capito e stanno muovendosi rapidamente
 nei nuovi settori.
  Uno
 degli effetti del global warming è la migrazione di milioni di persone ogni
 anno. Il problema è come dare protezione a questo nuovo tipo di rifugiati,
 considerando che non hanno ancora alcun riconoscimento legale. Sul tema dei
 rifugiati ambientali si è soffermata Grazia Francescato, ambientalista storica ed
 ex parlamentare europea. Il termine fu coniato nel 1976 da Lester Brown, leader
 del Worldwatch Institute, per mettere ordine nella proliferazione dell’uso di
 termini simili. Tuttavia, ancora oggi non possediamo una definizione esauriente
 sui rifugiati ambientali. Nel 2015 il global warming è stato la causa della
 migrazione di oltre 60 milioni di persone. I rischi dovuti ai disastri
 ambientali saranno sempre più la causa prima di spostamenti delle popolazioni,
 più grande dei conflitti.
  Al
 termine del convegno è intervenuto Paolo Ciani, coordinatore nazionale DEMOS, che
 ha ringraziato per le argomentazioni e le suggestioni raccolte nel corso della
 mattinata, soffermandosi in particolare sui temi della messa al bando della
 plastica non biodegradabile, dell’acqua pubblica, dell’ecologia urbana, degli alberi
 per il clima, del consumo di suolo e del riconoscimento dei rifugiati
 ambientali.   
  Antonio
 Salvati
   
Latest posts by Antonio Salvati 
(see all)