Nel corso del 2018, si
 sono svolte diverse iniziative per chiarire e, soprattutto, ricordare quanto è
 avvenuto in quel triste 1938. Il convegno su Chiesa, fascismo ed ebrei: la svolta del ‘38, organizzato dalla
 Società Dante Alighieri, in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano
 e l’Università per Stranieri di Perugia, svoltosi a Roma pochi giorni fa, è
 stato un importante momento di riflessione su quel famigerato anno in cui vennero prese misure discriminatorie contro
 la comunità ebraica italiana, con un complesso di leggi razziste e antisemite.
 Le leggi razziali del fascismo – Riccardi ha detto di non capire “perché ancora oggi non vengano chiamate
 leggi razziste” -, emanate nel 1938, anno in cui il regime fascista
 consolidò il suo volto totalitario, rappresentarono senza dubbio una vergogna e
 una infamia imperdonabile. Il convegno si era posto l’obiettivo di indagare e
 meglio comprendere l’atteggiamento della Chiesa e dei cattolici in quel
 doloroso frangente. Andrea Riccardi, presidente della Dante Alighieri, nella
 sua introduzione ha rammentato che «la
 Chiesa aveva una posizione particolare nell’Italia fascista, nonostante la
 privazione della libertà e la pressione propagandistica, perché era un corpo
 autonomo, garantito dal Patto del Laterano e dall’affezione del popolo. Il 1938
 è un anno difficile. Per la Chiesa, si registra l’allontanamento del fascismo
 dal modello di Stato cattolico, mentre si consolida un’altra personalità del
 regime, totalitaria e statolatrica, come De Felice ha notato. E il razzismo e
 l’antisemitismo fanno parte dell’inveramento del regime nella costruzione
 dell’uomo nuovo».   
   
  Giustamente il
 cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana,
 ricordando quei tristi eventi, ha parlato di «un clima di pavida indifferenza collettiva», anche di una parte dei
 cattolici. Anche se papa Pio XI dichiarò l’antisemitismo inammissibile per i
 cristiani (Pio XI il 6 settembre 1938 disse la famosa frase: «Spiritualmente siamo tutti semiti»), non
 pochi cattolici rimasero coinvolti in episodi di dolorosa indifferenza. Ma –
 com’è stato rilevato nei diversi interventi – diverse erano le posizioni nella
 chiesa. Significativamente Bassetti, vescovo di origine fiorentina, ha
 ricordato di essere cresciuto alla scuola del cardinal Elia Dalla Costa,
 arcivescovo di Firenze che, nel momento più drammatico per gli ebrei si prodigò
 per la loro salvaguardia e insegnò ai cattolici una particolare attenzione al
 mondo ebraico. A Firenze sorse la prima Amicizia ebraico-cristiana con Giorgio
 La Pira. Fu Dalla Costa che, nel 1938, durante la visita di Hitler a Firenze
 chiuse le imposte del palazzo arcivescovile e rifiutò che vi fosse affisso ogni
 segno di festa e benvenuto. Ha, inoltre, aggiunto che oggi c’è un clima diverso
 da ieri, da quello degli anni Trenta. La coscienza del legame tra la Chiesa e
 gli ebrei è divenuta, per i cattolici, un fatto di popolo, «diffuso e radicato in profondità. Si fonda sulle
 grandi arcate della Dichiarazione conciliare, Nostra Aetate, che ricorda il
 profondo vincolo tra cristiani ed ebrei. Giovanni Paolo II espresse questo con
 grande efficacia durante la sua visita al Tempio maggiore degli ebrei di Roma
 nel 1986, riconoscendo negli ebrei i «fratelli maggiori» con un’espressione
 dell’epica polacca, e considerandoli sempre «chiamati con una “vocazione
 irrevocabile”». La Nostra Aetate afferma: «La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi
 uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non
 da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le
 persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli
 ebrei in ogni tempo e da chiunque».
  Il 1938 è un anno
 terribile per gli ebrei, non solo in Italia, ma per il pogrom in Germania nella
 notte tra il 9 e il 10 novembre e il diffondersi delle misure antisemite: «in Polonia – ha opportunamente ricordato
 il fondatore della Comunità di Sant’Egidio – si ritira la cittadinanza agli espatriati da più di cinque anni (in
 gran parte ebrei), in Romania sono presi provvedimenti antisemiti sotto
 l’influenza del governo della Guardia di Ferro di Codreanu, come in Ungheria,
 nonostante il trionfale congresso eucaristico, cui aveva preso parte come
 legato pontificio il card. Pacelli”.   
   
  In Italia, certamente,
 vi furono cattolici assai sensibili all’antisemitismo fascista, quanto meno per
 evitare conflitti, come ‘La Civiltà Cattolica’, fino alle posizioni estreme di
 Angelo Brucculeri favorevole al ‘Manifesto sulla razza’, non condivise dagli
 scrittori della rivista. Gli antimodernisti sono antisemiti: nel 1921 mons.
 Benigni aveva pubblicato in italiano I Protocolli dei savi di Sion. Un
 attenzione particolare è stata rivolta anche al tema del nazionalcattolicesimo.
 Sempre Riccardi ha sottolineato quanto Pio XI guardasse «a un grand dessein al di là del quotidiano e dell’Italia, convinto che
 la partita è appena all’inizio tra quello che chiama il ‘nazionalismo
 eccessivo’, con il suo seguito di razzismo, odio e antisemitismo, e la visione
 dell’unità del genere umano che il cattolicesimo propone (‘una sola grande
 famiglia universale umana’, diceva). È la smentita del nazionalcattolicesimo:
 il primato della nazione sul cattolicesimo e l’universalismo. C’erano rischi in
 questo senso nell’Ungheria del reggente Horthy e del primate card. Séredi (che
 aveva votato alla Camera alta le leggi antisemite, ma avrebbe accolto gli ebrei
 polacchi e si sarebbe misurato con i nazisti); o nel neocattolicesimo fascista in
 Italia; o nella Spagna di Franco o nel Portogallo di Salazar o nella Slovacchia
 di mons. Tiso; o in Polonia, specie dopo la morte del maresciallo Pilsuski,
 amico degli ebrei, e alla presenza di un primate abbastanza antisemita come il
 card. Hlond (che ebbe espressioni severe verso gli ebrei anche dopo la seconda
 guerra mondiale). C’erano poi i cattolici tradizionali francesi, gli eredi
 dell’Action Française…».
  Riccardi ha terminato
 la sua prolusione evidenziando tutta la complessità del mondo cattolico e con
 la convinzione che «un’immagine della
 Chiesa monolite ha oscurato una realtà complessa e diversificata che lo storico
 scopre, anche se il monolite è comodo a una storiografia superficiale,
 giustiziera o apologetica. Un papa autorevole, definito autoritario, come Pio
 XI, si trova di fronte un panorama in cui i segmenti del cattolicesimo conoscono
 l’attrazione dei processi nazionali. La sua scelta, negli ultimi anni Trenta, è
 un messaggio forte sul nazionalismo e l’antisemitismo, definiti nuovi idoli
 della modernità con il comunismo, tesa a bloccare la fascinazione di queste
 dottrine sui cattolici. Il problema è evitare il conflitto, non isolare gli
 ebrei, scongiurare il fatto che le Chiese cattoliche assumano atteggiamenti che
 egli considera un vulnus alla loro identità. Quello che lo angoscia gli ultimi
 mesi di vita, la sua ultima battaglia com’è stata definita, non è tanto il
 vulnus al concordato, ma all’identità cattolica, che si voleva desemitizzare,
 trasformandola in un culto dai tratti nazionali, teutonico in Germania, latino
 imperiale in Italia. Qui anche l’affermazione del primato della romanità
 cattolico su quella fascista».
  
  Antonio Salvati
   
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