L’ultimo rapporto dell’ong
 britannica Oxfam – che solitamente viene presentato alla vigilia del
 “conclave” finanziario di Davos, in Svizzera – ci consegna un mondo
 ancor più disuguale. L’aumento della disuguaglianza, insieme ai drammatici dati
 relativi ai cambiamenti climatici, è certamente una delle maggiori sfide per le
 istituzioni sovranazionali e i governi. 
  
   
  La disuguaglianza economica e
 sociale resta un tema di grande attualità. Nella storia dell’umanità, sono sempre
 esistite molte forme di convivenza tra ricchi e poveri, nonché vari tentativi
 di realizzare uguaglianze sociali. La grande Rivoluzione Francese viene
 ricordata insieme al grande motto Liberté,
 Égalité, Fraternité. I patrimoni dei super-ricchi sono aumentati del 12% lo
 scorso anno, al ritmo di 2,5 miliardi di dollari al giorno, mentre 3,8 miliardi
 di persone (la metà più povera dell’umanità) hanno visto decrescere quel che
 avevano dell’11%. Jeff Bezos, padre e amministratore delegato di Amazon, a
 marzo 2018 aveva un patrimonio netto stimato in 112 miliardi di dollari, quando
 appena l’1% di questa somma corrisponde all’intera spesa sanitaria dei 105
 milioni di etiopi. Continua la concentrazione di enormi fortune nelle mani di
 pochi. La Ong denuncia l’aggravarsi del quadro complessivo: se la quota della
 ricchezza globale nelle mani dell’1% più ricco è in crescita dal 2011, una
 tendenza opposta caratterizza la povertà estrema. Dopo un drastico calo, tra il
 1990 e il 2013, del numero di persone che vivono con meno di 1,90 dollari al
 giorno, ad allarmare è il meno 40% segnato dal tasso annuo di riduzione della
 povertà estrema tra 2013 e 2015 (ancor più accentuatosi nell’ultimo triennio),
 una maggiore povertà che – va da sé – colpisce in primis l’Africa subsahariana.
 Sono stime della Banca Mondiale, che ha di recente rivisto a 3,20 e 5,50
 dollari al giorno le soglie di povertà rispettivamente per gli stati a medio-basso
 e a medio-alto reddito. I continui tagli di servizi essenziali come sanità e
 istruzione generano costi altissimi: 262 milioni di bambini non possono andare
 a scuola e 10mila persone al giorno muoiono perché non hanno accesso alle cure.
 Eppure, basterebbe una tassazione anche minima – lo 0,5% in più di oggi –
 sull’1% dei “Paperoni” del globo per evitare tutto ciò. Con una
 grande ricaduta: diverse ricerche stimano che, se si insegnasse a tutti i
 bambini del mondo a saper leggere (in modo “basico”), almeno 171
 milioni di persone uscirebbero dalla povertà estrema.
  
   
  Anche In Italia il quadro è assai
 inquietante: i dati attestano che nel 2018 i contrasti si sono aggravati: il
 20% più ricco degli italiani detiene (a metà 2018) il 72% della ricchezza
 nazionale contro il 66% di un anno prima, mentre il 60% più povero deve
 accontentarsi appena del 12,4%, ancora meno del 14,8% di 12 mesi prima. E i
 primi 21 miliardari italiani (secondo la rivista Forbes) avevano gli stessi
 beni del 20% più povero della popolazione. La disparità di risorse e
 soprattutto di opportunità rischia di alimentare il livello di conflittualità
 fra le Nazioni e all’interno degli Stati, generando un rancore pronto a
 trasformarsi – ovunque, nessun luogo è immune – in rabbia sociale. Non a caso, i
 risultati dell’ultimo rapporto del CENSIS ci descrivono un Paese sfiduciato,
 incattivito ed egoista.
  L’unica leva – sottolineano giustamente
 i curatori del Rapporto dell’Oxfam – sulla quale è possibile agire per
 invertire questo trend è quella fiscale, non solo attraverso un contrasto a
 livello globale di elusione ed evasione e l’inasprimento della lotta contro i
 paradisi fiscali. A partire dall’Unione Europea, è necessario perseguire con fermezza
 e convinzione la strada dell’armonizzazione dei sistemi di tassazione. Un po’ ovunque
 si rileva una perdita di progressività, il principio mutualistico per cui chi
 ha maggiori risorse contribuisce più che proporzionalmente, con le imposte, al
 bene comune.
  
   Fonte:
 Global Wealth Databook 2018 di Credit Suisse, rielaborazione Oxfam
  
  Da anni, a intervalli regolari,
 si torna a parlare di patrimoniale che per tanti è una sorta di parolaccia.
 Guai a parlarne! Intanto non la confondiamo con il prelievo forzoso del 1992
 quando l’allora Premier Giuliano Amato prelevò risorse dai risparmi degli
 italiani, operando nella notte tra il 9 ed il 10 luglio un prelievo forzoso ed
 improvviso del 6 per mille su tutti depositi bancari. Nel 2016 secondo una
 indagine della Banca d’Italia le famiglie avevano una ricchezza netta media di
 circa 206mila euro, benché la distribuzione sia molto diseguale: il 30 per
 cento più ricco avrebbe il 75 per cento del patrimonio netto (510mila euro),
 mentre il 5% più ricco avrebbe in media 1,3 milioni di euro a famiglia. L’imposta
 patrimoniale colpisce il patrimonio di un contribuente, dagli immobili ai
 risparmi, indipendentemente da quanto guadagna col suo lavoro. Secondo gli
 analisti dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse)
 una wealth tax che imponga un prelievo fiscale sulla ricchezza dei contribuenti
 (indipendentemente dai loro redditi), contribuirebbe a ridurre le
 disuguaglianze. Attualmente la tassa patrimoniale è vigente solo in Francia,
 Svizzera, Spagna e Norvegia. In Francia, ad esempio, la Impôt de Solidarité sur la Fortune colpisce le ricchezze sopra gli
 800mila euro con un prelievo sui patrimoni finanziari e su quelli immobiliari.
 Le aliquote partono da un minimo dello 0,5% per arrivare all’1,5% per chi ha un
 patrimonio superiore ai 10 milioni di euro. Non mi pare sia una scelta politica
 “comunista”, ma ragionevole. In questo senso, c’è ancora spazio e un ruolo per
 la buona politica. Se non abdica e si mette nella giusta prospettiva, grazie ai
 processi redistributivi, la buona politica potrà riuscire a governare e
 fronteggiare le diverse sfide future dell’umanità.
  
  Antonio Salvati
   
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