Indubbiamente tra i
 temi caldi della campagna elettorale per le prossime elezioni europee, l’argomento
 migrazione associato a quello dell’accoglienza e dell’integrazione, è senza
 dubbio quello principale e tra quelli maggiormente divisivo. In ogni Stato
 membro dell’Unione europea cresce la paura di divenire il terminale unico
 dell’afflusso. Si comincia così a parlare di “controllo delle frontiere
 esterne”. La posta in gioco sono le quote di 
 migranti che ogni Stato deve prendersi. Quota, un termine più adatto al
 denaro che alle persone!
    
   
   In questo cinico clima,
 i corridoi umanitari organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione
 delle chiese Evangeliche italiane, dalla Tavola Valdese e dalla Caritas (per
 conto della CEI), rappresentano un concreto segno di speranza e di umanità. Ne
 ha parlato oggi il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, incontrando
 i giornalisti all’Associazione della Stampa Estera per fare un bilancio del
 progetto dei corridoi umanitari a pochi giorni dalla firma del nuovo protocollo
 per l’arrivo in sicurezza e l’accoglienza di 600 richiedenti asilo dal Corno
 d’Africa.    Alcuni dati aiutano a
 valutare l’efficacia del progetto al quale hanno partecipato anche Belgio,
 Francia, Andorra. Dal 2016 ad oggi, il progetto ha interessato circa 2500
 persone, di cui poco più di 2000 solo in Italia, che ha accolto 1516 siriani provenienti
 dai campi profughi del Libano e 500 dall’Etiopia. Il 90% del totale è
 rappresentato da nuclei familiari, tra i quali 764 minori. Dati da porre in
 confronto con le 32.207 entrate con il resettlement
 in Europa. Il valore assoluto è già apprezzabile ma lo diventa ancora di più
 quando diventa relativo. Stando ai  dati
 ufficiali concernenti il numero dei rifugiati accolti nei singoli Stati europei.
 Se si prendono in considerazione i singoli Paesi europei, solo la Francia, la
 Germania, l’Olanda, la Norvegia e la Svezia hanno fatto, in tre anni, più dei
 corridoi umanitari che invece hanno accolto da soli più di 21 Paesi europei. La
 sproporzione è evidente e anche eticamente poco accettabile, soprattutto perché
 uno dei principi fondanti dell’Unione europea è quello della solidarietà.
  E per questo motivo la
 comunità di Sant’Egidio e la Federazione delle Chiese Evangeliche, a fine
 aprile, hanno indirizzato una lettera al capo del governo Giuseppe Conte,
 chiedendogli di farsi promotore di un corridoio umanitario a livello europeo,
 coinvolgendo tutti gli altri Stati membri. La crisi politico-militare in Libia
 che si è ulteriormente aggravata nel mese di aprile, rende quest’iniziativa indifferibile.
 Non si può certamente aspettare l’esito delle elezioni europee per intervenire.
 In attesa della risposta, Sant’Egidio e la CEI, il 3 maggio scorso, hanno
 rinnovato il protocollo d’intesa con il Ministero degli affari esteri e della
 cooperazione internazionale e il Ministero dell’Interno. Un grande piccolo
 successo di questo nuovo protocollo, è l’aumento da 500 a 600 del numero dei
 beneficiari.
  Numeri che per gli
 organizzatori sono volti e nomi. E’ proprio questo il valore aggiunto – se si
 vuole ancora utilizzare un termine economico – dei corridoi umanitari. Il progetto
 non si limita al trasporto dei rifugiati in condizioni di sicurezza, ma si
 occupa anche della successiva accoglienza e integrazione, coerentemente con il
 consueto e approccio della Comunità di Sant’Egidio, che valorizza il rapporto
 personale e amichevole dei rifugiati. L’accoglienza avviene presso famiglie,
 gruppi di persone e parrocchie che offrono il loro aiuto, ben consapevoli anche
 della durata del loro impegno. In controtendenza con l’attuale narrazione
 sull’intolleranza, la risposta della società civile è stata eccezionale e le
 offerte di accoglienza hanno superato il numero dei rifugiati. Le persone che
 arrivano sono state ospitate in 15 regioni italiane, in tante città e in
 piccoli paesi. Esiste una società civile che non vuole ripiegarsi su stessa,
 che non si gira dall’altra parte e che “non
 se ne lava le mani”, ha dichiarato il presidente della Comunità di
 Sant’Egidio, Prof. Marco Impagliazzo. La centralità della società civile nel
 progetto è data anche dal fatto che il finanziamento è totalmente a carico
 degli enti proponenti, senza alcun onere finanziario per lo Stato. 
  Il Papa più volte ha
 sostenuto di desiderare il ritorno di un’Europa umanistica, paladina dei
 diritti dell’uomo. Sogna un nuovo umanesimo europeo. Anche Riccardi –
 ricordando la pericolosa tendenza alla frammentazione e al localismo presente in
 Europa tra la gente che si sente espropriata da un mondo globalizzato – auspica
 una missione per l’Europa. Essa, se unita, realizza la civiltà del convivere:  “è la
 civiltà che manca al mondo di globalizzazione omogeneizzante e appiattente, che
 reagisce con gli scontri di civiltà e di religione; che manca a un’economia
 inumana e senza umanesimo”.    
  Barbara Costa
  
  Antonio Salvati
  
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