Ha fatto scalpore, nei giorni scorsi, la notizia di una legge varata dal governo cinese per regolamentare la “pietà filiale” e la conseguente sentenza per cui una donna, rea di non prendersi cura della madre ricoverata in un istituto, è stata “condannata” a visitarla almeno ogni due mesi.
La vicenda apre molti interrogativi. Alcuni li ha già aperti nella stessa Cina, dove si è scatenato un dibattito su se si possa imporre per legge la “pietà filiale” – antico valore confuciano, perno per secoli della complessa struttura non solo familiare, ma sociale, e perfino linguistica della società cinese, ma rimosso all’epoca della Rivoluzione Culturale.
In realtà, l’approvazione di una norma di questo genere induce ad almeno tre considerazioni.
La prima è che l’inversione demografica avvenuta così rapidamente in Cina, se in parte è dovuta al miglioramento delle condizioni di vita, è in realtà accelerata anche alla prolungata politica “del figlio unico”, che ha accentuato il distacco proporzionale tra le generazioni. Gli oltre 194 milioni di persone con più di 60 anni della Cina di oggi, rappresentano il 14 per cento della popolazione. Una percentuale ancora bassa, rispetto ai paesi occidentali, ma che segna un significativo cambiamento negli equilibri sociali e, in prospettiva, economici, del gigante asiatico. Ed è impressionante se guardiamo in prospettiva al fatto che la generazione sotto i 40 anni è costituita per lo più di figli unici (in stragrande maggioranza uomini) e che questo amplificherà il fenomeno nei prossimi anni in maniera esponenziale.
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