ROM” è un argomento che muove voti e su cui molte giunte comunali si sono “giocate” le proprie candidature, nella ricerca di un facile consenso. Il “soffiare sul fuoco” della politica ha causato spesso anche reazioni violente, ma soprattutto ha impedito di affrontare i problemi in modo che possano essere risolti.
Quanto è
realmente grande questa emergenza? Quanto c’è di vero in questa “invasione” di
nomadi?
In passato intervistando alcuni funzionari di uffici pubblici comunali di Roma, è venuto fuori la misura di come sia percepito erroneamente il problema. A parer loro infatti, nella sola area di Roma, erano stanziati circa 400.000-500.000 mila Rom (!), una cifra
evidentemente spropositata, che in realtà metteva in evidenza due
fattori: un’ ignoranza quasi totale sulla realtà del fenomeno da parte
delle istituzioni pubbliche e anche, fatto a mio avviso anche più grave, l’esistenza di una
paura radicata verso i Rom capace di far sragionare chi avrebbe gli strumenti culturali e tecnici per analizzare il problema (si
perché con le proporzione indicate da loro, vorrebbe dire che a Roma 1 abitante
su 4 dovrebbe essere un Rom).
Ma quanti
Rom ci sono realmente a Roma ed in Italia?
Da notare
inoltre che di questo 0,25% di Rom residenti stabilmente nel nostro territorio
nazionale, più della metà sono italiani (dati dell’osservatorio
nazionale di politica internazionale del Parlamento Italiano) di diritto e di fatto, dato che ovviamente non
viene mai preso in considerazione, ma che in realtà potrebbe aiutare a
ridimensionare ulteriormente questo presunto “enorme” problema.
Si può
fare qualche cosa di realmente utile per l’integrazione di queste persone?
Per concludere, “l’invasione” dei Rom è un
problema tutt’altro che apocalittico e soprattutto sarebbe di facile soluzione con una migliore gestione dei fondi disponibili, troppo destinati al mantenimento dei cosiddetti “campi”
(che poi il più delle volte assomigliano più a dei lager) o per il continuo spostamento dei Rom da una zona all’altra delle città, mentre sarebbero meglio impiegati in una seria politica di inclusione scolastica e, di conseguenza, anche lavorativa.
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