Il
 fenomeno della contestazione studentesca, scoppiata alla fine degli anni
 Sessanta, che mise in campo per la prima volta una mobilitazione dei giovani su
 scala planetaria, è stato spesso oggetto di studi, analisi e ricordi più o meno
 simpatetici, alimentando una memorialistica e una vasta letteratura che ha
 fatto del Sessantotto un vero e proprio mito, positivo o negativo che sia. Sono
 trascorsi cinquant’anni, sufficienti per stabilire quel distacco o quella
 serenità necessaria a una comprensione non filtrata dal vissuto personale.
 Unanimemente si riconosce che il 68 è stato il punto di arrivo di un fenomeno
 iniziato – almeno in Italia – con il boom economico ed ha amplificato le
 istanze di cambiamento emerse fin dagli anni Cinquanta. Istanze rafforzatesi —
 perlomeno in campo cattolico — in corrispondenza del Concilio Vaticano II.
 Mentre alcuni storici si sono soffermati sulla “rivoluzione politica”, più o
 meno fallita, altri hanno insistito sulla “rivoluzione culturale” o “rivoluzione
 sociale”, per evidenziare il legame che si andava sviluppando con l’avvento
 della società dei consumi, accompagnati da importanti cambiamenti a livello dei
 costumi, in una società in profonda trasformazione. 
     Su
 di un muro alla Sorbona a Parigi apparve uno degli slogan del movimento, assai
 famoso: “Siate realisti, domandate
 l’impossibile!”. Fu un’esaltazione fatta anche di rabbia per le
 ingiustizie, la guerra, la miseria del Sud, gli emarginati nella città. La
 protesta poteva cambiare il mondo? Fu una breve e intensa stagione di utopie in
 cui si collocarono i primi passi della Comunità di sant’Egidio e di altri
 movimenti laicali, numerose comunità di accoglienza, dalla Comunità di
 Capodarco al Ceis di don Mario Picchi, ed anche la comunità Giovanni XXIII di
 don Oreste Benzi. La contestazione fu internazionale: il maggio francese, gli
 Stati Uniti (le esperienze controcorrente degli hippies), ma anche nel blocco
 sovietico, dove nella Cecoslovacchia comunista si tentò il socialismo dal volto
 umano (represso dai carri armati nell’agosto 1968 e un giovane universitario
 cecoslovacco si bruciò come protesta). Il mondo stava cambiando, nonostante la
 guerra fredda. Forte era la protesta contro la guerra americana in Viet Nam. Le
 colonie erano diventate indipendenti e sembravano rappresentare un Terzo Mondo,
 rispetto al capitalismo e al comunismo. La lotta contro la segregazione
 razziale degli afro-americani cresceva con una forza non violenta fino
 all’assassinio di Martin Luther King nell’aprile 1968. Nell’ottobre 1967 era
 stato ucciso in Bolivia Che Guevara, leader cubano, che si era speso nella
 lotta rivoluzionaria: fu un’icona della rivoluzione. E qui grandi discussioni
 se fosse necessaria la violenza per cambiare il mondo.
  Dopo
 il ’68, quel movimento ha preso tante strade, per lo più politiche. Tanti “buoni propositi” e una grande quantità
 di energie giovanili vennero così convogliate verso un’utopia che nel suo fondo
 non era cattiva né sbagliata dal punto di vista anche evangelico (“cambiare il
 mondo”). Il nichilismo dominante, più delle utopie marxiste o rivoluzionarie
 ormai tramontate, ha negli ultimi decenni favorito lo scivolamento nello
 scetticismo e nel cinismo della società dei consumi, che tende a trascinare tutti
 nell’illusione della sazietà del benessere, facendoci credere che ogni
 tentativo di “cambiare il mondo” sia per ciò stesso utopistico, illusorio,
 sbagliato. 
  La
 Comunità di Sant’Egidio – come testimonia la sua storia – ha creduto che la rivolta
 contro l’impossibile s’incontrasse con la fede del Vangelo. Il Vangelo che parlava
 dei miracoli di Gesù, della vittoria sull’impossibile. Gesù disse al padre
 disperato per il figlio epilettico: “Tutto
 è possibile per chi crede” (Mc 9,23). Aggiungeva: “Impossibile presso gli
 uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile a Dio” (ivi, 10,27). Questo
 è il carattere rivoluzionario – rivolta dello Spirito, direbbe Clément – del
 cristianesimo di Sant’Egidio. Papa Francesco in un incontro a Trastevere con la Comunità di Sant’Egidio ha parlato di rivoluzione: “aiutate a far crescere la compassione nel cuore della società – che è
 la vera rivoluzione, quella della compassione e della tenerezza –, a far
 crescere l’amicizia al posto dei fantasmi dell’inimicizia e dell’indifferenza”.
 
 Antonio Salvati