Non mancano sentimenti forti: il
rimpianto e la nostalgia per profumi, paesaggi e città indimenticabili come
Roman, il risentimento per le discriminazioni, più o meno velate, patite da
straniero in Italia, oppure il vulnus di chi è strappato dalle proprie radici
ma che non si scoraggia o soccombe, grazie anche ad una pazzesca
coprotagonista, la madre, assente fisicamente ma presente in ogni angolo del
testo e del cuore della vicenda.
Infatti la madre di Marius, con la
sua femminile e magica intraprendenza, gli insegna a risorgere e inventarsi
soluzioni in ogni circostanza. Come quando scrive una lettera per perorare la
causa familiare e coraggiosamente la consegna direttamente nelle mani di Elena
Ceausescu, ottenendo il risultato sperato.
Si avverte, in questo monologo di
circa un’ora e mezza, scorrevole e sincero, la rabbia per ogni schiaffo preso
dalla vita, per una partenza esistenziale in salita: il regime, lo stato di
continua e paranoica allerta vissuta per il fatto che gran parte dei
concittadini rumeni erano legati alla Securitate, sommato alle problematiche
private (il padre dedito al bere e manesco con la moglie). Tale asprezza
accentua la gravità del dire, in un teatro dove la scena è scarna e scura, ma
la perfetta e simbiotica armonia fra la recitazione di Bizău e
l’accompagnamento musicale del polistrumentista Daniele Ercoli, che passa dal
KAVAL (flauto diffuso in varie forme in tutto l’ex Impero ottomano) al BAGLAMA’
(strumento tipico del Rebetiko), dalla TROMBA al CONTRABBASSO, alleggerisce il
pathos e al contempo estende la gamma emotiva del racconto grazie alle infinite
variazioni che la voce dei diversi suddetti strumenti suggerisce, spingendoci
verso sonorità di terre ed epoche remote, o pizzicandoci con allegri improvvisi
risvolti.
La vita di Silviù Marius non è stata
facile, ma affanno e rabbia si stemperano, man mano che il racconto procede,
diretto verso un destino dagli esiti migliori e gratificanti per il piccolo
Silviù che, grazie agli anni di studio, alla sua perseveranza, e grazie ad
incontri positivi (come quello con un illuminato professore liceale che lo
indirizza verso il teatro) arriva a tracciarsi da solo, più che trovare, la sua drumul, la sua strada. Studi
e teatro possono considerarsi i suoi secondi genitori, la redenzione dagli anni
oscuri, la maniera per autoaffermarsi e non soccombere al fato.