Potremmo dire – in
 sintonia con i tempi – che la pena di morte è una fake news, vecchia quanto
 l’umanità. Si traveste da giustizia, ma crea sempre nuove vittime. Come le
 famiglie di chi viene ucciso. E’ l’intuizione del nostro paese e soprattutto di
 alcune organizzazioni, come la Comunità di Sant’Egidio, da decenni in prima
 fila nella lotta per l’abolizione della pena capitale.   Un impegno che viene da
 lontano, nel XVIII secolo, quando Beccaria comprese in maniera assai
 lungimirante che è “un assurdo che le
 leggi, [le quali] … detestano e
 puniscono l’omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i
 cittadini dall’assassinio, ne ordinino uno pubblico» (Dei delitti e delle
 pene, cap. XXVIII).
  
   
  
  La pena di morte non è
 mai né utile né necessaria, ha ricordato il ministro degli esteri italiano Enzo
 Moavero Mllanesi nel corso dell’undicesimo Incontro internazionale Un mondo senza pena di morte, promosso
 dalla Comunità di Sant’Egidio e che si è svolto ieri presso la Camera dei
 deputati. All’incontro hanno partecipato oltre venti ministri della giustizia,
 provenienti in particolar modo dal continente africano ed asiatico, radunati da
 Sant’Egidio perché insieme è possibile fronteggiare la geopolitica delle
 emozioni, fatta di paura e frustrazione, di cui scrive Dominique Moisi. Infatti
 – ha ricordato Marco Impagliazzo – «sulla
 società passano onde emozionali, mosse in nome dello slogan del momento (quelle
 narrazioni che i manipolatori della comunicazione conoscono bene), nutrite
 dalle frustrazioni e dalle paure (che da quotidiane si fanno assolute) e che
 pretendono soluzioni decise e rapide». Ancora oggi non sono pochi anche in
 Italia – com’è accaduto dopo i fatti di Macerata – coloro che la ritengono una
 soluzione rapida e semplice, radicale e definitiva. Sembra soddisfare meglio al
 bisogno di sicurezza di tutti.    
   
  Tuttavia, il trend
 abolizionista resta abbastanza soddisfacente, sono più numerosi gli Stati che
 l’hanno abolita oppure adottato una moratoria sulla pena capitale. L’incremento
 del numero dei Paesi (ha ottenuto un crescendo di consensi arrivando a 123
 Paesi favorevoli, 30 astenuti e 36 contrari; alla risoluzione del 2016 i
 consensi si erano fermati a 117) che hanno appoggiato la Risoluzione sulla
 moratoria delle esecuzioni, durante le recenti votazioni al Terzo Comitato dell’Assemblea
 Generale dell’ONU del 13 c.m., è segno dello sviluppo della consapevolezza che
 detto strumento potrebbe essere sostituito con altri mezzi più efficaci e meno
 brutali. In tal senso è stata significativa la presenza del ministro della
 giustizia malesiano, il quale ha annunciato che «with the combination of several factors and reasons found in several
 researches coupled with the promised made in the manifesto, the new government
 in Malaysia under the able leadership of the Right Honourable Prime Minister,
 Tun Dr Mahathir, decreed the abolition of death penalty on the World’s Day
 Against Death Penalty last month. With that, a moratorium was issued to all the
 1,281 death convicts in Malaysia with instruction from the Government to
 commute their death sentence to that of life imprisonment». 
  Quando dialogano fra di
 loro, gli stati non si affidano alla “geopolitica della emozioni”. Comprendono
 l’importanza del multilateralismo, oggi poco di moda, che – ricorda Impagliazzo
 – «resta l’unico ammortizzatore delle
 tensioni e uno spazio di assennatezza e oggettività concreta della politica
 globale». In tal modo, la società civile riveste un ruolo tutto particolare,
 come attesta il rapporto costante e virtuoso tra Sant’Egidio e l’Onu sulle
 questioni della pace, delle migrazioni, dei diritti e della moratoria delle
 condanne a morte.
  
   
  Forti della nostra tradizione
 giuridica e dell’articolo 27 della Costituzione – come giustamente ricordato
 dal ministro della giustizia italiano Bonafede – occorre impegnarsi per una globalizzazione
 umana, non concepita soltanto in termini economici e tecnologici.
  Marazziti – da anni
 impegnato a coordinare l’impegno abolizionista di Sant’Egidio – ha invitato a non
 cadere nella trappola della paura:  «oggi più che mai il tempo di un rifiuto
 radicale della morte e di una cultura di morte. La risposta alla violenza e
 alla morte è essere diversi». E la responsabilità ricade sui responsabili
 politici: «inseguire gli umori popolari,
 che a sua volta vengono alimentati da informazioni e messaggi senza più
 gerarchie chiare e verificabili, trasforma chi ha la responsabilità della
 leadership in un gregario». Per questo restano fondamentali le leggi, le
 Costituzioni. Che non si cambiano a colpi di maggioranze o di sondaggi. In
 tempi segnati dal ritorno di attualità della guerra, dai toni di guerra,
 violenti, nel normale dibattito politico di paesi democratici, le classi
 dirigenti si muovono e alimentano dentro una cultura del nemico. E’ in questi
 tempi che acquistano ancora più importanza le leggi. Perché difendono dalle
 “democrature”, dalle “popolocrazie”, dagli umori mutevoli o manipolabili per
 qualche tempo di opinioni pubbliche mobili.
  Il perfezionamento del
 testo del Catechismo della Chiesa Cattolica che dichiara la pena capitale
 “inammissibile”, rendendo consistente e senza eccezioni la difesa integrale
 della vita e la necessità che ogni pena contenga sempre la possibilità di
 cambiamento, è un recente e prezioso aiuto di papa Francesco. Lo ha affermato
 il segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, monsignor Paul
 Richard Gallagher che ha aggiunto: «Le
 istituzioni sono chiamate a vincere il male con il bene. La pena di morte non
 può essere giustificata come strumento di legittima difesa. Papa Francesco
 esprime il suo ringraziamento a tutti coloro che si battono per essa». 
  
  Antonio Salvati
   
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