Con grande
 rammarico si è appreso, nei giorni scorsi, che la giovane Rayhaneh Jabbari alla
 fine è stata giustiziata nel carcere di Teheran dove era detenuta in seguito
 all’omicidio del suo stupratore. Una vicenda che ha suscitato una grande
 mobilizzazione della Comunità Internazionale e dell’opinione pubblica.   Tuttavia la triste
 fine di Rayhaneh Jabbari ha focalizzato l’attenzione su due grandi problemi: il
 primo è la questione della donna, depauperata dei sui
 diritti più basilari solo perché tale. Un problema antico che non riguarda solo tale la discriminazione in Asia, ma che la porta spesso alla morte, in circostanze diverse, anche nella nostra Europa. La seconda è stato il fallimento dell’azione della
 Comunità Internazionale, che nonostante gli appelli, le minacce, le
 mobilitazioni e le paventate sanzioni, non è riuscita a salvare la vita della giovane
 Rayhaneh Jabbari.
 
  Forse
 si dovrebbero cercare nuove forme di dialogo e di mediazione con i paesi in cui
 la legge non è sempre garante dei diritti umani. Una via che senza dubbio
 dovrebbe essere meno mediatica e più silenziosa onde evitare un risentimento
 della parte interessata. Una via lenta, forse, ma che ha portato ad esempio a significativi passi in avanti sulla via dei diritti umani in altri stati asiatici come il Giappone e le Filippine (a tal proposito
 si veda Arriva in Asia la battaglia mondiale contro la pena di morte).   Nell’auspicarci
 che il sacrificio della giovane Rayhaneh Jabbari non sia stato vano, si
 dovrebbe riflettere di più sulla sensibilizzazione dei diritti della donna e
 dei più deboli, ma soprattutto cercare via alternative di dialogo sul tema dei diritti umani, senza
 colpevolizzare un intero paese o popolo solo per la condotta dei loro
 governanti.
   Diego
 Romeo