In un paese, l’Italia, dove,
 penosamente, sembriamo puntare dritti al disdicevole primato per malaffare e
 cattiva gestione delle opere pubbliche (ponti, viadotti, cavalcavia vengono giù
 con frequenza catastrofica, pur in assenza di catastrofi naturali: 6 crolli in
 meno di 3 anni, 2 dei quali solo negli ultimi 4 mesi !!), fa impressione
 pensare che, invece, nel mondo, c’è qualcuno che costruisce ponti di pace,
 gratuitamente, in tempi brevi, nonché con felicissima riuscita.
  Lui è Toni Rüttimann e alla
 missione di costruire ponti con materiali di scarto delle aziende, di donarli
 ai popoli più poveri, ha dedicato la sua intera esistenza.
  Nel 1987, Toni è un ragazzo, ha
 appena preso la maturità, ed un terremoto disastroso ha colpito l’Ecuador
 assieme alla sua sensibile immaginazione: ne ha viste le immagini in tv,
 decidendo di partire per dare una mano. E’ così che, giunto sul posto,
 collabora alla costruzione di quello che sarà il suo primo ponte sospeso. 
  Da quel viaggio, da quel primo ponte,
 ad oggi, Toni el Suizo (Toni lo svizzero, semplicemente così lo chiamano, è
 noto nel mondo) non si è praticamente mai fermato, tanto che, ad aprile 2017 i
 dati sono questi: 760 ponti, in totale, già finiti, con 2 milioni 35.500  persone servite, altri 15 in costruzione e 13
 rilevamenti fatti,  fra Asia sudorientale
 (Cambogia, Indonesia, Laos, Myanmar, Vietnam) e Latino America (Argentina,
 Colombia, Costa Rica, Ecuador, El Salvador, Honduras, Messico e Nicaragua).
   
  Se penso alla profonda povertà di
 queste genti, al fatto che è proprio l’isolamento ad aggravarla (per via di
 grandi aree che si allagano e diventano impraticabili…), al fatto che questi
 popoli sono messi in grado di costruirsi i loro ponti con le proprie mani (Toni
 usa manodopera locale, facendo sentire questa gente non oggetto di assistenza
 passiva, bensì partecipe al progetto, creando lavoro, armonia e coesione), quando
 leggo queste cifre, e ricevo, via mail, i suoi lievi saluti da Yangon, oppure
 un tramonto mozzafiato da Thein Hpa (in Myanmar), mi sembra che, per lui, fare
 del bene sia un “trucco galattico” (una volta mi scrisse questa espressione,
 che, magicamente, mi risollevò l’umore) che scivola facile, e per cui tutto è
 possibile… mi gira la testa di fronte a tali traguardi; ancor più se li
 confrontiamo  alla lentezza dei nostri
 passi.
  Anni fa ebbi il privilegio,
 l’indescrivibile emozione, di conoscerlo di persona, e posso dire, di Toni, solo
 due cose: la modestia e la riservatezza. Capace di conquistare una platea di
 studenti di ingegneria, con la storia dei suoi ponti sospesi, altrettanto lo è
 di dileguarsi e sparire al momento di farsi stringere la mano, ricevere i
 complimenti, i dovuti ringraziamenti di rito. Allergico alla chiacchiera, è uno
 che fa,  agisce e scappa. Ma senza mancare,
 se riesci ad accostarlo, di offrire un sorriso timido e gentile.
   
  Se si ha voglia, qualche video
 caricato su youtube racconta quello che, a parole, mi è ineffabile, ma
 occorrerebbe la magia dei suoi ponti per tenere sospeso, ad altezza del cuore,
 far capire..arrivare lontano.
  Se ci mettessimo ciascuno a
 servizio, silenzioso e gratuito, dei nostri fratelli e sorelle più bisognose,
 non scaverebbe solchi di stupore leggere di queste storie. Ma ho l’impressione
 che così non sia, e che, anche quando partiamo avviati al bene, ci distraiamo e
 desistiamo facilmente, laddove, per Toni, neppure la 
sindrome di Guillain-Barré è riuscita a fermarlo.
 (Ricoverato all’ospedale, con una matita in bocca e usando solo due pollici,
 continuava il suo lavoro, pensando a come velocizzarlo, con apposite tabelle
 Excel) . El suizo, il pontiero, resta, per questo, un esempio di tenacia verso
 il bene, ed i suoi ponti un simbolo di levità e concretezza, lotta alla povertà
 e coesione fra poveri, un impegno concreto, sulla via della Pace, che dura per
 tutta la vita.
    
  Silvia Chessa
  
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