Inumi Laconico davanti al murales con una sua poesia |
I muri del Trullo, oggi, sono tappezzati dai murales contenenti le poesie di questi poeti, “nati dal basso”, ma capaci di pensare in grande.
F.C.: Poeti der Trullo, Street Poetry, MetroRomanticismo… Come nasce tutto ciò?
I.L.: Il nostro gruppo nasce a maggio del 2010 dall’incontro mio con Er Bestia, che è uno dei sette poeti. C’era la volontà di fare qualcosa per il Trullo. Avendo vissuto questo quartiere negli anni ’90 come luogo di degrado umano sociale ed esistenziale, c’era la voglia di dimostrare che da lì poteva nascere qualcosa di positivo. Ecco allora che la poesia, passione che ci accomunava entrambi, diventa lo strumento naturale per questo percorso rigenerativo. Abbiamo cominciato a scrivere e a diffondere i nostri testi, utilizzando internet e i social. Da lì è successo che quello che producevamo piaceva e noi ci sentivamo meglio. Piano, piano si sono aggiunti tutti gli altri che come noi condividevano questo desiderio di fare poesia. Dopo il 2010 è successo che tutto il mondo che avevamo dentro è esploso. Si è come rotto un vaso di Pandora: i lettori aumentavano in modo vertiginoso. Molti si identificavano con i nostri testi. I giovanissimi, per esempio. Questo perchè nelle nostre poesie abbiamo sempre utilizzato un linguaggio semplice e diretto. Non il romanesco del Belli, ma il romano odierno, quello parlato abitualmente nei quartieri. Molti di questi ragazzi probabilmente hanno pensato: “Ma se questi sette poeti riescono ad esprimersi così, con il linguaggio che usiamo per strada, anche noi possiamo fare lo stesso”. Così hanno cominciato a scrivere e ci sono arrivate centinaia di poesie, scritte da ragazzi di molti quartieri di Roma, ma anche da quartieri della periferia di Milano, Bologna o Torino… Si è creato così un movimento che noi abbiamo appunto chiamato MetroRomanticismo.
F.C.: Penso che avete compiuto un’interessante operazione culturale. Avete liberato la poesia da quella gabbia per cui sembrava fosse un’arte che appartenesse ad una ristretta élite, rendendola accessibile e praticabile a livello popolare. Tanti si sono appassionati alla poesia e, fatto molto originale, le “parole”, quelle che parlano al cuore e ai sentimenti, sono divenute un elemento di arredo urbano.
I.L.: In realtà non c’era un disegno dietro. Tutto è avvenuto in modo molto naturale. Durante una serata in giro per Roma, per pura casualità, è accaduto che ho scritto alcuni miei versi su un muro. Perchè è successo? Proprio perchè la nostra poesia era popolare e vicina alla vita della gente comune, pensai che fosse un bene “regalarla” alla strada e alla città. Mi affascinava l’idea che un passante qualsiasi, magari dopo una giornata grigia, vedesse una poesia su un muro e iniziasse a riflettere e a pensare. Per noi questa prospettiva era un motivo di orgoglio. Ci siamo “fomentati” a vicenda e da lì è partita la voglia di scrivere poesie dappertutto. Ci siamo dati delle regole, ad esempio di scrivere sui muri degradati e non sui monumenti. Abbiamo fatto parlare gli oggetti della metropoli, il cassonetto dell’immondizia, come se parlasse in prima persona… Abbiamo fatto parlare la cassetta delle lettere in disuso… Ormai non scriviamo più le lettere, utilizziamo i social, le mail, wathsupp… Ma la lettera di carta ha un fascino immenso. La strada è un modo per uscire da noi stessi. Un sentimento bello chiuso dentro il tuo animo rischia di implodere. Se tu lo fai uscire, diventa contagioso e coinvolge tanti. Si crea così un circolo virtuoso di cui sei tu il primo beneficiario. Ecco allora il senso della poesia.
I.L.: Voglio sottolineare che per noi è stato importante l’aver iniziato un processo che ha contagiato tanti. Noi abbiamo iniziato a scrivere poesie poi, ad un certo punto, nel 2013, in una notte molti muri del Trullo si sono colorati, c’era un cartello: “Pittori Anonimi del Trullo”. Ci siamo chiesti chi fossero. Scoprimmo che era un gruppo di sessantenni che, ad un certo punto, vedendo le poesie che scrivevamo sui muri, si erano messi in testa di riappropriarsi del quartiere, migliorandolo, mettendosi in gioco in prima persona. Li abbiamo voluti conoscere e ci siamo uniti a loro. Colori e poesia. Poi è venuta l’idea di realizzare un festival. Abbiamo diffuso la voce e sono venuti al Trullo degli “Street Artist” di vari luoghi d’Italia. Il tema del Festival era “I Viandanti”, nel senso ampio del termine. Ognuno di noi, in qualche modo è un viandante. Da questo festival sono nati al Trullo i murales con le poesie come appaiono oggi. La soddisfazione è aver reso più bello il quartiere. Oggi, nella gente, è tornato l’orgoglio di essere del Trullo. Una volta ci si vergognava. Si diceva: “Io vivo in via Portuense”. Si, in effetti, credo che abbiamo contribuito a realizzare un bel processo di liberazione.
F.C.: Voi avete creato un “caso”, anche a livello mediatico. A questo punto potreste aspirare al successo, alla notorietà. Invece vi ostinate a nascondervi dietro l’anonimato, mantenendo l’abitudine di non apparire e di celare la vostra vera identità dietro gli pseudonimi con i quali firmate le vostre opere.
I.L.: Si, su questo siamo irremovibili. E’ stata una scelta naturale fin dall’inizio. In un mondo dove conta soltanto l’apparire egocentrico, noi vogliamo rimettere al centro “la parola”. E’ la poesia l’unica protagonista della nostra opera. Ci hanno invitato in varie trasmissioni, abbiamo avuto interessanti proposte di contratti editoriali. Abbiamo sempre rifiutato perchè avremmo tradito la nostra natura, popolare e anonima. La cosa che deve “passare” non è la nostra faccia, il nostro lavoro, quello che siamo… ma esclusivamente la poesia e il messaggio che essa racchiude.
A questo punto Inumi mi invita a fare una passeggiata per il Trullo, per vedere i murales e le poesie. Faccio qualche fotografia.
Mentre cammino penso a tutti quei ragazzi della periferia di Roma – e sono tanti – che vogliono cambiare il luogo dove vivono e cercano di fare qualcosa.
La libertà si nutre di sogni, sviluppa grandi ali e, quando spicca il volo, non la fermi più.
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