“I giusti” (Jan Brokken, Iperborea) è un viaggio a ritroso nel tempo che si ramifica per ogni dove.
E’ la storia di uno, dieci, 100 uomini e donne che hanno contribuito a salvare degli ebrei poco prima che il vortice del genocidio li afferrasse, o che sono stati salvati. E’ anche la storia di uno, dieci, 100 uomini e donne che non ce l’hanno fatta, che sono stati sommersi da quel turbine, e di cui sopravvivono solo la memoria e la testimonianza.
Ne scaturiscono, a cascate, le più varie biografie, banali o avventurose, che riempiono le pagine del libro: vicende appassionanti o meno, tutte in bilico tra la vita e la morte.
Tutto parte da Kaunas, nella Lituania sospesa tra l’inizio della II guerra mondiale e l’annessione all’Unione Sovietica permessa dalla modifica del protocollo segreto al patto Molotov-Ribbentrop. In quella cittadina, insieme sonnolenta e preoccupata, si muovono due diplomatici, uno ad honorem l’altro di carriera, uno olandese l’altro giapponese, ed innescano un piccolo esodo capace di strappare migliaia di ebrei polacchi e lituani all’orrore della Shoah, per instradarli sulla Transiberiana, e poi in Giappone, a Shanghai, in tanti altri luoghi, sulla via di una possibile salvezza.
Uno dei due diplomatici, il giapponese, dirà molti anni dopo: “Se avessi obbedito al mio governo, avrei disobbedito a Dio”.
Ma non c’è un solo giusto, ce ne sono tanti. In tutti loro c’è “la volontà di fare qualcosa”, mentre “i comuni mortali dalla coscienza elastica stanno a guardare con le mani in mano o girano la testa dall’altra parte”.
E leggere oggi queste pagine, mentre papa Francesco ricorda che “il massacro di 72 migranti a Tamaulipas, erano persone che cercavano una vita migliore” e ammonisce che “il Signore ci chiederà conto di tutti i migranti caduti nei viaggi della speranza, sono stati vittime della cultura dello scarto”, ed altri invece applaudono, sostengono, votano i pifferai del muro, dei porti chiusi e delle ordinanze restrittive; ecco, leggere oggi di quei giusti, chiarisce che è sempre tempo di scegliere se esserlo o no. Che Kaunas è anche qui, che il 1940 non è tanto distante dal 2020.
Francesco De Palma
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