Di lui si stanno occupando i quotidiani italiani (e non solo)
 da qualche giorno: Sobuj Khalifa, 33 anni, originario di un sobborgo di Dacca,
 in Bangladesh, immigrato in Italia ed entrato da qualche tempo nel novero degli
 “irregolari”, vive a Roma, sulle banchine del Tevere, nei pressi dell’antica Cloaca Maxima.
  
  
 Vive poveramente, come può: vende fiori ai visitatori del
centro di Roma, ombrelli quando piove, aiuta gli automobilisti tra gli introvabili
parcheggi cittadini in cambio di una piccola mancia.
  
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  | Sobuj Khalifa col permesso umanitario | 
  
 Martedì scorso, il 12 maggio, vede il corpo di una donna precipitare
nel Tevere; capisce che è ancora in vita – «apriva e chiudeva gli occhi», ha
dichiarato ad una televisione – si getta nel fiume e la porta in salvo, intercettando
i soccorsi della polizia fluviale.
   A quel punto, però, succede una cosa paradossale: mentre la
 donna è condotta d’urgenza in ospedale, all’uomo che l’ha salvata viene contestata
 l’“irregolarità” del soggiorno. Le procedure di polizia prevederebbero (forse) il
 rimpatrio del povero eroe, ma sembra davvero troppo e questa volta la dote del “cuore
 tenero” – di cui cantava Fabrizio de André – si impossessa delle forze dell’ordine.
 Si apre così uno spiraglio ed a qualcuno viene in mente che a Sobuj Khalifa
 potrebbe ben essere concesso un permesso di soggiorno breve, per “motivi
 umanitari”. Un anno di tempo, poi si vedrà.
  Sobuj Khalifa diventa così – suo malgrado – protagonista
 insolito delle cronache cittadine: lo intervistano giornali e TV e lui si
 presta generosamente, piccolo uomo dall’italiano incerto e con una maglietta a
 righe un po’ fuori misura, con la quale viene ritratto dalle macchine fotografiche.
  
  La donna che lui ha salvato ha 55 anni, è ebrea e cittadina
 israeliana: e questo apre infine una finestra inattesa nella vita di Sobuj Khalifa.
  A chi gli faceva notare come lui – musulmano – avesse
 salvato un’ebrea, ha sempre risposto con stupore: «l’avrei fatto per chiunque».
 Così, 
Progetto Dreyfus, un gruppo
 attivo all’interno dell’ebraismo italiano, lancia una inedita iniziativa:
 annoverare Sobuj Khalifa tra i giusti delle nazioni, piccolo Schindler del nostro tempo, come per quanti salvarono
 gli ebrei dallo sterminio negli anni tragici della 
Shoah.
 
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  | La lapide in memoria di Oscar Schindler | 
  
 
«Ha diritto ad essere aiutato, inserito nella società –
dichiara per l’associazione a il
Messaggero Marco Scaffardi – e noi intendiamo trovargli un lavoro, non può
continuare a dormire sotto un ponte […]. Ci sono le condizioni per aiutare Sobuj
[…]. Ha salvato una vita ebrea israeliana e per la nostra religione ora è un
giusto, è degno d’esser cittadino d’Israele».
  Sarebbe la prima volta che la riconoscenza ebraica viene estesa
 dalle vicende della 
Shoah ad un
 contesto del tutto diverso: una bella apertura, in linea con lo spirito che
 animò ad esempio la manifestazione al 
Colosseo – lo scorso anno – di
 solidarietà ai cristiani perseguitati nel mondo. E sarebbe una bella lezione
 anche per Roma, che ha davvero bisogno di ritrovare – in questo tempo fosco, dopo le 
ruspe a Ponte Mammolo – una radice di accoglienza e di universalità. 
Paolo Sassi
 
  
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