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Odium fidei

Domenica scorsa, al termine del Regina Coeli, papa Francesco ha ricordato la beatificazione in qualità di martire dell’arcivescovo di San Salvador, Oscar Arnulfo Romero, avvenuta il giorno precedente nella piccola capitale centroamericana. E ha detto: “Mons. Romero [è stato] ucciso in odio alla fede mentre stava celebrando l’Eucaristia. Questo zelante pastore, sull’esempio di Gesù, ha scelto di essere in mezzo al suo popolo, specialmente ai poveri e agli oppressi, anche a costo della vita”.
Ma cosa vuol dire “in odio alla fede”?

L’”odio alla fede”, “odium fidei” in latino, è un concetto importante. E’ dal riconoscimento di tale “odio”, presente nel cuore di chi commette l’assassinio del beato o del santo in questione, che dipende il fatto che la Chiesa parli di martirio, e non solo di un’ingiusta uccisione. L’odium fidei è quasi un “luogo teologico”, che caratterizza la testimonianza suprema di un credente, quella che giunge fino allo spargimento del proprio sangue in nome di Cristo e della Chiesa. E’ tale testimonianza che equipara il martire al “testimone fedele” (cfr. l’Apocalisse), a quel Gesù che, come scrive Paolo nella I Lettera a Timoteo “ha dato la sua bella testimonianza di fronte a Ponzio Pilato”.
Limitato, nei primi tempi cristiani, al solo caso di chi rifiutava di piegarsi al mondo degli idoli o al potere politico, il concetto di uccisione in odium fidei si è andato allargando nel tempo. Si assiste oggi, in realtà, a quella che molti studiosi di storia della santità hanno chiamato la “dilatazione del concetto classico di martirio”.
E’ un processo lungo, iniziato quando Pio XII riconobbe il martirio di Maria Goretti, uccisa da chi attentava alla sua virtù. La difesa di tale virtù venne equiparata da papa Pacelli alla difesa di tutto ciò che Cristo aveva vissuto e insegnato, di tutto ciò che la Chiesa aveva trasmesso. L’odium fidei si è via via chiarito come odio di tutto ciò che la fede in Dio significa, odio verso ciò che di buono e di giusto il lieto annuncio del Vangelo rappresenta.
Alle martiri della castità sono dunque succeduti i martiri della persecuzione nazista, espressione di un vero e proprio neopaganesimo, e poi quei martiri della giustizia di cui don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia una ventina d’anni fa, e Romero, colpito sull’altare il 24 marzo del 1980, sono tra gli ultimi esempi.

Chi ha ucciso Puglisi, chi ha ucciso Romero, ha voluto uccidere in loro ciò che li spingeva a schierarsi dalla parte della verità, dell’amore, della pace e della giustizia. Mettendoli nel mirino tanto la mafia siciliana, quanto gli squadroni della morte salvadoregni, hanno inteso esprimere il proprio disprezzo e il proprio odio per quella testimonianza forte ed audace, benché mite e indifesa, che si incarnava nell’operato di un prete e di un vescovo.
Il martirio – come la stessa santità – si chiarisce e si esplicita sempre più, rinnovandosi e rimanendo fedele a se stesso, nello sforzo di parlare al cuore dell’uomo contemporaneo.

Francesco De Palma

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