Gli eroi di un tempo, quelli che superavano pericoli e avversità per raggiungere la loro meta, per salvare se stessi e i propri cari, non vanno più tanto di moda. Sarà che non possiamo identificarci in loro: sono più scuri, più sporchi, più cattivi (o almeno così li dipingono …); parlano altre lingue, hanno altre abitudini, professano altre religioni (non tutti, ma semplificare viene tanto naturale …).
Sono loro, oggi, gli Enea e gli Ulisse; i pionieri verso il Lontano Occidente.
I nostri miti non ci appartengono più. I nostri sogni di un tempo sono diventati i loro. La loro utopia non è più la nostra.
Anche perché la nostra si è ristretta, ai piccoli confini del mio io, dell’io di chi mi somiglia.
Ha ragione Zygmunt Bauman, che in una recente intervista dichiarava: “Come tanti altri aspetti della nostra vita, l’utopia è stata privatizzata. Quando sogniamo un’alternativa, una vita migliore, non pensiamo ad una società alternativa, migliore. Bensì sogniamo una nicchia alternativa, migliore per noi stessi e per i nostri cari”.
Non più un mondo migliore, ma un mondo migliore per me.
E gli altri? Fuori dai confini delle nostre microutopie milioni di uomini, donne e bambini si arrangiano; milioni di uomini, donne e bambini si sforzano di sognare un altro orizzonte.
E però, chissà, forse la loro utopia ha un futuro, forse tutti costoro riusciranno a cambiare l’orizzonte che per noi è tanto normale, che a noi sta tanto bene.
Non è già successo, del resto? Il profugo di 3000 anni fa, Enea, con un anziano sulle spalle, Anchise, e un bambino per mano, Iulo, non ha dato vita alla grande avventura che ha fatto di uno sparuto villaggio ai confini del mondo l’antenato di un impero universale?
Francesco De Palma