Oggi dedico questa rubrica alla solitudine degli anziani. Dietro le mura degli istituti sono come reclusi, non possono incontrare quasi nessuno, e questo non li ha salvati dalla pandemia.
La poesia che segue di Clemente Rebora, è una delle poesie in assoluto che preferisco, perché dice tutto sulla solitudine e sull’attesa senza nessuna esplicitezza. Testo profondamente poetico, è ancor più bello perché, alla fine, offre una via d’uscita:
Dall’immagine tesa
vigilo l’istante
con imminenza di attesa –
e non aspetto nessuno:
nell’ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono –
e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno.
Ma deve venire,
verrà, se resisto
a sbocciare non visto,
verrà d’improvviso,
quando meno l’avverto.
Verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio.
Il problema di rinchiudere gli anziani degli istituti anonimi è questo: l’angoscia di non vedere nessuno di familiare, di perdere il contesto della vita passata, che ormai è gran parte della vita. Quanto possono resistere gli anziani persi in quattro mura? Il loro ristoro deve essere presto, e sarà un sollievo per tutti.
Luca Giordano
Su “Avvenire” una serie di articoli ha recentemente approfondito le implicazioni del quesito referendario promosso…
“Nella polvere”, di Lawrence Osborne, appena edito da Adelphi, è ambientato in Marocco, alle estreme…
“Questi sono i nomi” è la traduzione italiana dell’incipit del libro biblico dell’Esodo, è l’intestazione…
La breve biografia di Benjamin Lay, opera di Marcus Rediker, storico e docente all’Università di…
Di fronte alla drammatica crisi - economica, sanitaria, politica e sociale - che sta colpendo…