La poetessa Louise Glück vince il premio Nobel per la letteratura. La motivazione del comitato è molto interessante: “La sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza individuale”. Nell’aggettivo “inconfondibile” sembra essere inteso un certo cinismo, una lieve, molto poetica, vena realistica.
In alcuni suoi testi si percepisce un minimalismo simile a quella della Szymbrska, però con meno immagini. La stessa differenza che c’è tra un paesaggio del Vermont rispetto ad un’urbanizzata Polonia. Sono entrambi belli e interessanti. Non chiedetemi quale preferisco, non ha senso in poesia. Nei poeti contemporanei il dato biografico è fondamentale. Questa poetessa ha vissuto parte della sua adolescenza con una forma di anoressia, è il suo dato biografico originale. Considerata erede di Emily Dickinson e Sylvia Plath. Rispetto alle due poetesse sopra citate ha un maggiore disincanto, meno vittima-si percepisce una maggiore emancipazione femminile-ma sicuramente in comune ha una tensione all’assoluto.
Come del resto molti poeti del 900 e di questo inizio secolo,Louise Glück vive una contraddizione. Da una parte la realtà agnostica della società, dall’altra un’attenzione verso il sacro, come se cercasse qualcosa. La poetessa è testimone dell’insoddisfazione dell’umanità per la sua condizione.
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