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7 dicembre 1965: cadono le scomuniche

Le ricorrenze, solitamente, si celebrano a cadenze multiple di 5 o di 10 anni, meglio se di 50: come per l’antica tradizione ebraica del giubilieo, che cadeva infatti ogni mezzo secolo.
Quella di oggi, pertanto, è una sorta di memoria annunciata, che compirà il suo ciclo giubilare solo l’anno venturo.
Tuttavia, la provvida eppure imprevista ripresa entusiasta del clima ecumenico – come si è potuto constatare dai recenti incontri intercristiani e da ultimo in occasione del viaggio in Turchia di papa Francesco – consente forse un piccolo anticipo di questa memoria: quarantanove anni fa, infatti, il 7 dicembre 1965, Roma e Costantinopoli procedevano a revocare simultaneamente le scomuniche che nel lontanissimo 1054 avevano sancito la separazione tra Oriente ed Occidente.
Il 5 di gennaio del 1964, quasi due anni prima, era avvenuto lo storico incontro tra papa Paolo VI e il patriarca ecumenico Athenagora, sul quale Valeria Martano ha pubblicato all’inizio dell’anno un bel volume dal titolo L’abbraccio di Gerusalemme: la cancellazione delle scomuniche rappresentò così l’epilogo – niente affatto scontato – di quel primo rivoluzionario abbraccio.
La cosiddetta revoca delle scomuniche, in realtà, è contenuta in una solenne dichiarazione comune, che venne letta contemporaneamente il 7 dicembre 1965, in occasione dell’ultima assemblea plenaria del Concilio Ecumenico Vaticano II a Roma ed in una cerimonia speciale a Costantinopoli, nella sede patriarcale del Phanar:

«il papa Paolo VI e il patriarca Athénagoras I nel suo sinodo, certi di esprimere il comune desiderio di giustizia ed il sentimento unanime di carità dei loro fedeli e ricordando il precetto del Signore: “Quando presenti la tua offerta all’altare, se là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all’altare e va prima a riconciliarti con il tuo fratello” (Mt 5, 23-24), dichiarano di comune accordo:

a) di dolersi delle parole offensive, dei rimproveri senza fondamento e dei gesti reprimevoli che, da una parte e dall’altra, hanno segnato o accompagnato i tristi eventi di quell’epoca;
b) di dolersi ugualmente ed eliminare dalla memoria e dal mezzo della Chiesa le sentenze di scomunica che ne sono conseguite, e il cui ricordo costituisce fino ai nostri giorni un ostacolo al riavvicinamento nella carità, e votarle all’oblio;
c) di deplorare, infine, gli incresciosi precedenti degli ulteriori avvenimenti che, sotto l’influenza di fattori diversi, tra i quali la incomprensione e la diffidenza reciproche, hanno infine condotta alla rottura effettiva della comunione ecclesiale».

In chiusura, il papa e il patriaraca affermano la loro comune:

«volontà di riconciliazione e […] un invito a perseguire, in uno spirito di fiducia, di stima e di carità reciproche, il dialogo che [c]i condurrà, con l’aiuto di Dio, a vivere nuovamente, per il maggior bene delle anime e la venuta del Regno di Dio, nella piena comunione di fede, di concordia fraterna e di vita sacramentale che esisteva […] nel corso del primo millennio della vita della Chiesa».

Sono parole solenni, impegnative, profonde, per nulla scontate, ora come allora.

Paolo Sassi

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