Sono trascorsi ormai 40 anni dalla tragica scomparsa di Pier Paolo Pasolini, avvenuta il 2 novembre 1975 ad Ostia, nei pressi dell’idroscalo, e si affollano in questi giorni le occasioni di riflessione e gli eventi dedicati alla memoria ed alla drammatica figura di questo intellettuale che ha profondamente segnato la vita del nostro Paese.
Gli occhiali di Pasolini, Roma |
Bachmann e Pasolini, Roma, 1972 |
La cosa che più sorprende, rileggendo i tanti interventi che Pasolini fece fino al giorno della sua morte, i suoi libri, le sue poesie, ma anche i suoi film, è infatti come – accanto all’inevitabile obsolescenza della cronaca – molte delle sue osservazioni fossero intuizioni quasi di veggente, seppure lette con il registro della poesia o della critica. È questa, per esempio, la voce che emerge dal bel libro Polemica Politica Potere, che raccoglie le interviste fatte da Gideon Bachmann a Pasolini nell’arco di quasi 15 anni, tanto quanto è durata l’amicizia e la frequentazione tra i due.
Quelli tra di loro sono dialoghi frizzanti, aspri e divertenti, talvolta contorti, mai banali: si parla di cinema, ma è solo un pretesto. Pasolini riflette a tutto tondo, sulla politica e sulla religione, sul mondo e sulla storia, sul costume e sulla letteratura, sulle sorti del nostro Paese. Si strugge per la distruzione antropologica dell’umanità dei suoi (e dei nostri) tempi, omologata e consumista, involgarita, paganizzante e senza prospettive.
Bachmann ci aveva già aiutato – è sua la ricca sezione audio di Pasolini prossimo nostro – ad ascoltare a lungo la voce nervosa di Pasolini; ce lo restituisce ora con la pagina scritta dell’intervista, accompagnata da alcune belle fotografie, sue e di Deborah Beer.
Pasolini sarà il poeta dei periferici e della periferia, in una città – Roma – che amava disperatamente e che avrebbe ancora bisogno – come il resto del Paese – dei suoi occhiali.
Paolo Sassi
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