FATTI

Gli occhiali di Pasolini

Sono trascorsi ormai 40 anni dalla tragica scomparsa di Pier Paolo Pasolini, avvenuta il 2 novembre 1975 ad Ostia, nei pressi dell’idroscalo, e si affollano in questi giorni le occasioni di riflessione e gli eventi dedicati alla memoria ed alla drammatica figura di questo intellettuale che ha profondamente segnato la vita del nostro Paese.

Gli occhiali di Pasolini, Roma
Così, mi ha piuttosto incuriosito – ne dava cenno con un po’ di anticipo sull’anniversario il quotidiano la Repubblica lo scorso 13 settembre – che il Museo criminologico di Roma abbia deciso di esporre per la prima volta, per soli tre giorni, i reperti rinvenuti sul luogo dell’omicidio.
Documenti, libri, indumenti, un paio di occhiali…
Eh sì, un paio di occhiali dalla montatura scura e dalla foggia improbabile, rigati.
Forse, di quegli occhiali abbiamo ancora bisogno.
Bachmann e Pasolini, Roma, 1972

La cosa che più sorprende, rileggendo i tanti interventi che Pasolini fece fino al giorno della sua morte, i suoi libri, le sue poesie, ma anche i suoi film, è infatti come – accanto all’inevitabile obsolescenza della cronaca – molte delle sue osservazioni fossero intuizioni quasi di veggente, seppure lette con il registro della poesia o della critica. È questa, per esempio, la voce che emerge dal bel libro Polemica Politica Potereche raccoglie le interviste fatte da Gideon Bachmann a Pasolini nell’arco di quasi 15 anni, tanto quanto è durata l’amicizia e la frequentazione tra i due.
Bachmann è un intellettuale poliedrico che arriva in Italia nel 1961 e si occupa di cinema. Intervista e registra Pasolini nelle più svariate occasioni: lo fotografa (con Deborah Beer, sua compagna, sarà sul set di Salò), lo scandaglia. Bachmann – nato in Europa ma poliglotta e cittadino del mondo – viene allora dagli Stati Uniti e prova ad “interpretare” Pasolini, che ha da poco approcciato il cinema – dopo la letteratura – come metalinguaggio per la sua arte.
Quelli tra di loro sono dialoghi frizzanti, aspri e divertenti, talvolta contorti, mai banali: si parla di cinema, ma è solo un pretesto. Pasolini riflette a tutto tondo, sulla politica e sulla religione, sul mondo e sulla storia, sul costume e sulla letteratura, sulle sorti del nostro Paese. Si strugge per la distruzione antropologica dell’umanità dei suoi (e dei nostri) tempi, omologata e consumista, involgarita, paganizzante e senza prospettive.
Bachmann ci aveva già aiutato – è sua la ricca sezione audio di Pasolini prossimo nostro – ad ascoltare a lungo la voce nervosa di Pasolini; ce lo restituisce ora con la pagina scritta dell’intervista, accompagnata da alcune belle fotografie, sue e di Deborah Beer.
Pasolini sarà il poeta dei periferici e della periferia, in una città – Roma – che amava disperatamente e che avrebbe ancora bisogno – come il resto del Paese – dei suoi occhiali.


Paolo Sassi


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