Su tutto il senso di aver assistito a qualcosa di piccolo, ma di grande. Al manifestarsi della forza della parola. Una forza che non appartiene a nessuno e a nessun luogo. Una forza che non può essere imprigionata in un contesto elitario, e che emerge prepotente anche nelle periferie, anagrafiche, esistenziali e geografiche. E’ il mistero della scuola, è il mistero dell’uomo. E’ la profezia di un futuro che può incarnarsi ovunque.
In una via già quasi di campagna, in un edificio simile a tanti, in un angolo ai margini della Roma che fa notizia, nascono e crescono nel silenzio poeti di periferia. Anzi, come titolava una delle poesie in gara, “profeti de periferia”: “Nun me sta bene proprio pe’ niente / E’ pe’ questo che co’ st’inchiostro nero provo a fa’ ragionà ‘sta gente / […] / Nun me vorrei sbajà, sora periferia / ma ‘a corpa de ‘sto parapija è pure ‘a mia. / […] Noi che nun combattemo battaje / noi che nun educamo fiji e fije / noi che se ce chiedono aiuto semo sordi” ….
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