“Identificare il ‘problema immigrazione’ con quello della sicurezza nazionale e personale […] significa aiutare i terroristi a raggiungere i loro obiettivi. […] Malgrado non siano più di un migliaio i giovani musulmani sospettati di legami col terrorismo, per l’opinione pubblica tutti i musulmani, e in particolare i giovani, sono “complici”, colpevoli ancor prima che il crimine sia stato commesso. Così una comunità diventa la comoda valvola di sfogo per il risentimento della società, a prescindere […] da quanto impegno e onestà questi mettano in gioco per diventare cittadini. […] Dal punto di vista dei terroristi, quanto peggiori sono le condizioni dei giovani musulmani nelle nostre società, tanto più forti sono le possibilità di reclutamento. Se cade del tutto la prospettiva di una comunicazione trans-culturale e di un’interazione autentica tra etnie e religioni, si riduce al minimo anche la possibilità di un incontro diretto, del ‘faccia a faccia’ con l’altro, di una reciproca comprensione. […] Dobbiamo comprendere […] che solo la società nel suo insieme può sradicare la minaccia comune. Le prime armi dell’Occidente nella lotta contro il terrorismo sono inclusione sociale e integrazione”.
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