Xhanfize Keko, la prima donna regista in Albania (Foto di Petrit Kumi). |
Le strade del centro di Tirana sono affollate di gente in questi giorni di Natale.
Luci, auto, folla, caos.
E’ il normale traffico natalizio endemico in una qualsiasi città europea medio-grande.
Un certo dinamismo si è impossessato della capitale albanese.
Le sue continue trasformazioni, a volte un pò caotiche, la stanno comunque rendendo interessante e attrattiva.
La nuova piazza Skanderbeg pedonalizzata (in questi giorni invasa dalle bancarelle e dalle giostre del mercatino natalizio), i grattacieli che sorgono un pò ovunque nel centro, i lavori che stanno ultimando quella che sarà la moschea più grande dei Balcani (sulle rive del Lana, a poche centinaia di metri dalla cattedrale cattolica, finanziata dalla Turchia di Erdogan), il nuovo boulevard che attraverserà tutta la città, il vecchio bazar ristrutturato (che poi si chiama “Pazari i Ri”, cioè “Nuovo Mercato”), i complessi museali riguardanti la storia contemporanea del paese appena inaugurati… un continuo “restyling” che non vuole fermarsi.
La “nuova Tirana” dovrà diventare il “biglietto da visita” in vista o, più realisticamente, nella speranza di un futuro ingresso del Paese delle Aquile nell’Unione Europea.
Mi dirigo nella periferia della città, verso le pendici del monte Dajti.
Tirana in modo caotico è arrivata fino a qui.
Una valanga di cemento armato si è riversata attorno alla vecchia città.
Cinema “Majestik” a Korça. |
La grigia e sonnolenta cittadina degli anni ’90, quella “restituita al mondo” dopo il lungo isolamento del regime comunista, è oramai una metropoli soffocata dal traffico e dai clacson delle auto che affollano il labirinto di strade attorno ai quartieri sorti, come funghi, senza nessun criterio che non sia quello dello sfruttamento intensivo di tutti gli spazi possibili.
Arrivo al “Kinostudio”, zona che prende il nome dal palazzo costruito, nel 1952, per accogliere la “Cinecittà Albanese”. Come a Roma, appunto, il quartiere prende il nome dalla sede degli studi cinematografici, costruita lì dove c’era la campagna.
Si può dire con assoluta certezza che il cinema albanese nacque con il regime di Enver Hoxha.
“Il compagno Enver”, pur camminando su un altro versante ideologico, rubò varie idee al Fascismo (d’altronde respirò anche quella cultura durante l’occupazione italiana).
L’edificazione di una “città del cinema” di stato, come fece Mussolini a Roma, fu una delle prime realizzazioni del suo Regime.
D’altronde il dittatore albanese, originario di Argirocastro, si era formato a Korça, cittadina del sud, dove frequentò gli studi superiori, in un ambiente dove l’influenza della cultura francese ed europea era molto forte. Stava terminando il liceo quando, molto probabilmente, assistette, nel 1927, all’inagurazione di uno dei primi cinema dei Balcani, il mitico “Majestik” (tutt’oggi funzionante), sala di 300 posti, costruita con fondi provenienti da imprenditori originari della città, immigrati negli Stati Uniti. Lì, guardando i films di maggior successo dell’epoca, iniziò a rendersi conto del potenziale attrattivo del cinema e della sua forza nel diffondere mode, cultura e, soprattutto, nel formare le coscienze. Questa consapevolezza sicuramente maturò negli anni che vanno dal 1930 al 1936, periodo dei suoi soggiorni europei a Montpellier e a Bruxelles, dove si nutrì delle pellicole francesi, delle quali restò sempre un appassionato cultore.
Il Kinostudio “Sqhiperia e Re” (“La Nuova Albania”), nacque nel 1952, pochi anni dopo la salita al potere di Enver Hoxha.
Allora era fuori la città.
Il “Kinostudio” |
Il palazzo, sede principale del complesso, fu costruito in quello stile neoclassico sovietico allora in voga, dato il forte e viscerale legame dell’Albania con la Russia Stalinista.
Al Kinostudio, dal 1953 al 1984 (anno precedente la morte di Hoxha), furono girati ben 174 film. Il massimo della produzione annuale si raggiunse negli anni ’80 una media di 14 film l’anno.
I film realizzati conoscevano un’importante diffusione grazie alla capillare rete (oltre 250) di sale cinematografiche (molte di queste realizzate dopo il 1967, anno in cui fu scritta la nuova costituzione che proclamava il paese “stato ateo”, all’interno degli edifici religiosi chiusi al culto).
Il regime albanese fece sue le parole di Lenin “Il cinema è l’artiglieria pesante dell’arte” e pianificò rigidamente le attività del Kinostudio, rendendo l’industria cinematografica uno tra i suoi più forti strumenti di propaganda.
Lavorare al Kinostudio era, sia per i registi, sia per gli attori, sia per le maestranze, un grande privilegio perchè, seppur in un ambiente culturale pesantemente condizionato dalle rigide direttive e dalla censura del regime, si respirava un relativo clima di tolleranza che dava spazio alle sperimentazioni delle
Locandina di “Faccia a Faccia”, film del 1979 |
avanguardie artistiche.
Il regime, pur vietando tutti i contenuti estranei alla propaganda del partito, favoriva la maturazione artistica dei suoi registi e, fino all’inizio degli anni ’60, prima della rottura con Mosca, dopo la svolta di Krusciov rispetto allo stalinismo, inviava regolarmente i suoi registi a studiare e a specializzzarsi nell’Est Europa.
Nei fatti il cinema dell’Est, nella variante realista sovietica, assieme al neorealismo italiano (da sempre paese di riferimento affettivo per i cittadini del “Paese delle Aquile”) furono le correnti artistiche che maggiormente influenzarono i registi albanesi.
Locandina de “I suoni della guerra”, film del 1976 |
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