La decisione del Sindaco Marino di dare una nuova identità visiva alla Capitale, in sostituzione di quella varata – tra molte polemiche – dal suo predecessore, sembra non aver collezionato ahimè neanche un apprezzamento.
Il nuovo brand (che sta per “marchio”; anche l’uso dell’inglese ha suscitato molto malumore…) di Roma è stato presentato lo scorso 12 febbraio, ed ha prodotto lungo tutta la settimana una cospicua serie di commenti critici, assieme ad ironie più o meno garbate, specie sui social network.
Ha cominciato su la Repubblica Francesco Merlo, che ha apostrofato la scelta di questo nuovo logo di Roma con parole severissime:
«Rome è il punto d’arrivo di un lungo
oltraggio che la politica ha commesso contro la città più bella del
mondo, rendendola via via corrotta, infetta, ladrona… e da ultimo anche mafiosa».
Il nuovo logo di Roma |
Dalle colonne del tradizionale quotidiano di Roma, Il Messaggero, ha rincarato da par suo Mario Ajello, il quale ha osservato:
«Rome&You, come nuovo logo di questa città senza più la lupa e
diventata orfana del buon vecchio SPQR considerato chissà perché
desueto, sembra proprio una rinuncia. […] Nel logo scelto c’è un complesso di inferiorità non soltanto lessicale
che non meritiamo e un’adesione acritica all’idioma turistichese in voga
nel mondo globalizzato».
Un altro quotidiano radicato a Roma, Il Tempo, ha affidato a Susanna Novelli una recensione affatto severa, nella quale si osserva:
«un simbolo che non racconta davvero nulla di Roma,
anzi la equipara a metropoli d’oltreoceano con storia, cultura e
tradizioni ben più recenti e di ben altro peso. […] Al “popolo” resta tuttavia una semplice
domanda: perché cambiare logo ogni due per tre? I ventimila euro spesi
per questo nuovo “simbolo” non potevano essere spesi diversamente? Ma
soprattutto Roma ha davvero bisogno di questo per attirare turisti e
investimenti? O piuttosto di “relazionale” in tutto ciò c’è soltanto
spicciola politica?»
Per non parlare de Il Foglio, neo-diretto da Claudio Cerasa, che ha pubblicato in prima pagina un irridente commento di Nicoletta Tiliacos:
«Abbiamo pensato per un attimo a uno scherzo di carnevale, quando abbiamo visto il “nuovo logo relazionale” dell’Urbe (dove l’aggettivo “relazionale”, che riprendiamo testualmente dai comunicati ufficiali, già evoca assistenti sociali e psicologi della Asl)».
Ha osservato infine meditativo sul Corriere della sera di sabato 14 febbraio Eraldo Affinati:
«Che Roma attraversi una crisi d’identità, nel segno dell’inquietudine
nazionale, non lo dimostrano soltanto le opere sbagliate, i progetti
falliti, i programmi disattesi. È un’evidenza che i loghi,
impietosamente, registrano. Dobbiamo capire cosa fare del passato e come
pensare al futuro. […] dovremmo riuscire a
trovare una sintesi capace di rappresentare al meglio il volto europeo e
mondiale dello straordinario luogo in cui viviamo».
Il format del libro di Naomi Klein |
Non si tratta – mi pare – solo di un ritorno collettivo di fiamma per le tesi pure non prive di ragione di Naomi Klein sulla brandizzazione del nostro tempo: è che la problematica identità visiva di Roma, al di là del parere degli esteti, allude forse troppo alla mancante identità tout court
della Capitale, ancora nel pieno della crisi che i recenti fatti di “Mafia Capitale” hanno solamente rappresentato nella sua estrema crudezza.
Paolo Sassi
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