FATTISGUARDI

Social e solitudine: una correlazione?

Le tradizionali agenzie
di socializzazione come la famiglia, la scuola e i mass media non hanno più
quel ruolo preponderante che avevano prima dell’avvento dei Social Network e
degli ambienti virtuali, divenuti oramai attori centrali.
Bauman, filosofo
polacco scomparso nel 2017, da Modernità
liquida
del 2000 in poi, è probabilmente il pensatore che meglio di altri ha
meglio spiegato ed interpretato il disorientamento e la confusione che viviamo.
Le certezze del passato in ogni ambito, dal welfare alla politica, con le quali
in tanti siamo cresciuti, grazie alle grandi narrazioni del secolo scorso, sono
state – e continuano ad essere – smantellate e, spesso, dissacrate. La crisi
dello Stato, delle ideologie e dei partiti di fronte alle spinte della
globalizzazione, sono davanti ai nostri occhi e oggetto di continue analisi.


Luigi Zoja, ha
sviluppato un’analisi significativa, in un piccolo libro, La morte del prossimo. Il prossimo si è tremendamente allargato
come numero per molti di noi con l’ampliamento degli orizzonti globali –egli
dice -, ma allo stesso tempo si sono indebolite le relazioni stabili e le sue
figure si sono sfumate. La morte del prossimo è anche la fine dei contorni
comunitari, certo sempre cangianti, che hanno accompagnato l’esistenza, facendo
da sfondo, costituendo sovente una rete. Oggi tutto questo è molto infragilito,
sostiene Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Si sono
dissolte le reti tradizionali e rurali con l’inurbamento, ma soprattutto quelle
frutto del volontarismo politico, sociale e religioso si sono smorzate: «complessivamente la condizione prevalente è
la solitudine: una realtà sociale rivelatrice dell’assenza di comunità, come
avviene per gli anziani, una porzione così importante della nostra società.
L’allungamento della vita realizza un sogno antico dell’umanità: frutto del
miglioramento delle condizioni di vita. Il dramma è però la solitudine degli
anziani, perché non solo – con gli anni – si rarefà il tessuto sociale e
familiare, ma perché, per continuare a vivere nel proprio ambiente o casa
propria, si ha necessità vitale di prossimo. E’ difficile, impossibile, vivere
soli da vecchi: dice il proverbio “anche la regina ha bisogno della vicina”.
Insisto sulla condizione di vita degli anziani perché, per me, si tratta un
elemento rivelatore della qualità di una società o di una civiltà. Mostra un
processo contraddittorio: la conquista della longevità è un sogno realizzato,
ma anche una fragilità
». Cresce
la solitudine nella vita reale, come dimostrano gli ultimi rapporti CENSIS.
Quello uscito nel dicembre 2014 indicava che il 47% degli italiani dichiarava
di rimanere da solo ogni giorno in media per 5 ore.
Si è più soli nell’era
social. Ma la felicità è nella relazione. E’ la conclusione a cui giunge il
sociologo Salisci nel suo recente volume Fragili.
La costruzione dell’identità nella società liquida
(Franco Angeli): «Stiamo distruggendo ogni tipo di legame, in
primis la famiglia, in nome delle ideologie e del mercato. Il Web finisce per
illuderci ma siamo più fragili».
Una società in preda a una drammatica e
spesso patologica solitudine, come diceva Riccardi, in cui i nuovi media ci
illudono di essere più connessi quando poi siamo sempre meno in relazione con
gli altri. La rottura di ogni legame viene però da lontano, da ideologie
funeste che resistono nella disamina dei fenomeni sociali. Prima che le nuove
tecnologie ci travolgessero, l’individualismo aveva già attecchito nella nostra
cultura. Per decenni abbiamo esaltato un malinteso concetto di libertà
individuale – spiega Salisci – che ha frantumato tutti i legami specie quelli
primari familiari: «basta vedere le
conseguenze di divorzi e separazioni. I bambini crescono ammirando i propri
genitori e costruendo la loro identità sulla prima e più importante fiducia
data loro: quella della mamma e del papà. L’idea che le scelte relazionali
siano reversibili e che tutto possa cambiare sulla base del nostro desiderio ha
prodotto disastri. Quando i legami diventano instabili o incerti diventiamo
fragili anche noi»
. I giovanissimi sono quelli più esposti, come dimostra il
caso degli adolescenti hikikomori che si sta diffondendo anche in Italia, con
più di cento mila casi: si tratta in maggioranza di adolescenti maschi che si
autoescludono dal contesto sociale, rifugiandosi all’interno della propria
stanza e comunicando con il mondo attraverso l’apparato tecnologico.
La solitudine è colpa
delle tante ore passate davanti allo schermo? Per la fotografa parigina Julien
Mauve, la correlazione è indubbia: «Con
il suo crepuscolare bagliore digitale –
afferma – lo schermo è diventato una finestra aperta su un nuovo mondo,
introducendo al contempo un nuovo genere di solitudine».
Tuttavia, la
correlazione fra uso di Internet e solitudine è tutt’altro che banale e
scontata. E la correlazione non implica causalità. Troppo facilmente i social
network, sono stati accusati di qualunque danno. L’aumento della solitudine
nelle società moderne scaturisce maggiormente da un sistema iper competitivo,
che mette tutti contro tutti, dalla crisi della rappresentanza e dall’idea di
partecipazione politica e dalla trasformazione del cittadino in un puro e
semplice consumatore, direbbe Bauman, che della Rete.
Evidentemente, in virtù
di quanto detto, i social network sono passati dall’essere concepiti come una
sorta di facilitatori relazionali – in particolare per quelle persone che hanno
più difficoltà a entrare in contatto con gli altri nella vita reale – al
rappresentare uno dei principali ostacoli alla relazione. Per i giovani i
social network sono croce e delizia, per cui solitudine e inadeguatezza
sembrano essere le principali controindicazioni di un’esposizione troppo
prolungata. Fare banale allarmismo o illudersi di poter diminuire la presenza dei
social nella vita delle nuove generazioni è, a mio parere, semplicemente
inutile. E’ indubbio che i social network hanno introdotto un nuovo modo di
comunicare e relazionarci con gli altri. E un nuovo linguaggio di cui le nuove
generazioni posseggono tutti gli strumenti – anche cognitivi – per sfruttarlo
al meglio. Occorre, allora, sviluppare una propria consapevolezza nell’uso
degli stessi, concentrandosi sull’educazione dei più giovani – ma potremmo dire
anche di noi adulti – a un uso “corretto” dei social media, che non significa
collegarsi meno, ma semplicemente fare un distinguo tra la identità fluida – ossia
social – e quella reale.


Antonio Salvati

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