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“Summer” (2018), il film di Kirill Serebrennikov. La rivoluzione rock nell’URSS degli anni ’80.

Nella Leningrado degli anni ’80, al culmine dell’era Breznev,  mentre stavano prendendo vita i germi del declino della grande Unione Sovietica, prima dell’avvento della “Perestrojka” di Gorbaciov, iniziò, negli ambienti giovanili, un moto di rinnovamento culturale che trovò nella musica rock una della sue più importanti espressioni.

Il rock, in quanto emblemma della moda occidentale  e capitalista, era bandito nell’URSS.
Ma tra i ragazzi di Leningrado – storicamente e geograficamente più esposta alle mode e alle influenze occidentali rispetto ad altre città (vedi la blindatissima Mosca) –  era divenuta normale una circolazione clandestina di nastri e dischi musicali provenienti dai paesi ubicati aldilà della “cortina di ferro”. 
I ragazzi si ritrovavano in piccoli gruppi nella case private, per ascoltare di nascosto i dischi dei “Sex Pistols”, di “Lou Reed”, dei “Doors”, dei “Velvet Undreground”, dei “Blondie”.  
A dispetto dei rigidi controlli del Regime, grazie alla musica rock, iniziò a diffondersi tra gli adolescenti leningradesi, una cultura “alternativa” e uno stile di vita trasgressivo.
Nacquero le prime rock-band “made in URSS”, che si esibivano clandestinamente nelle feste organizzate segretamente dentro le abitazioni private.

Era una forma embrionale di contestazione, che si manifestava nei comportamenti e negli stili di vita ispirati a quelli delle rock-star occidentali. Una ribellione interiore al grigiore e alla cupezza di un potere totalitario che viveva nella ripetizione di sé stesso, tra parole d’ordine e slogan ripetuti meccanicamente, ai quali non credeva più nessuno.

Il Regime, realizzando che il diffondersi della musica rock tra i giovani non era una semplice moda ma il sintomo di una profonda voglia di rinnovamento, adottò la tattica di creare uno spazio per questi musicisti in modo da assumerne il controllo. 
L’istituzione del Leningradskij Rok Klub nel 1981, l’unico luogo pubblico nell’URSS (supervisionato dal KGB) dove era consentito alle rock-band di esibirsi (ovviamente dopo un’attenta censura dei testi delle canzoni), fu il tentativo del Regime di “anestetizzare” la forza trasgressiva di quest’onda rock e di “incanalarla” il più possibile dentro le direttive dell’ortodossia ideologica Comunista.
In realtà il Leningradskij Rok Klub ottenne l’effetto contrario a quello per cui era nato.
Per i musicisti, che suonavano solo nei circuiti undergound rivolgendosi ad una “nicchia” di pochi appassionati del genere, fu l’occasione di uscire allo scoperto e raggiungere un pubblico più vasto, diventando dei veri e propri fenomeni di massa.
Tra le band di quegli anni, emersero i Kino che divennero il più importante ed originale gruppo musicale russo di quel periodo.
Il leader dei Kino era Vicktor Coj, un poeta-chitarrista-cantante dalla spiccata personalità carismatica che scriveva canzoni dai testi molto coinvolgenti, nelle quali i giovani finivano per identificarsi.
La forza di Viktor Coj e dei Kino fu quella di aver creato un proprio stile originale che, pur ispirandosi all’essenza profonda della musica rock occidentale, si manifestava attraverso un linguaggio e ritmi  propri, che avevano un potente messaggio da trasmettere ai ragazzi di allora.
I temi delle loro canzoni erano l’angoscia, il disagio, l’alienazione, la mancanza di prospettive per il futuro, il rifiuto della guerra (erano gli anni della guerra in Afghanistan nella quale perdettero la vita tanti ragazzi provenienti da tutti i paesi dell’URSS).
La popolarità dei Kino si diffuse in tutta l’Unione Sovietica e, ancora oggi, rappresentano un gruppo “cult” per gli amanti del rock d’autore.
Viktor Coj morì, a ventotto anni, nel 1990 – un anno prima dello scioglimento dell’URSS – a causa di un incidente automobilistico. Probabilmente un colpo di sonno dopo che si era alzato all’alba per andare a pescare.
La sua morte prematura lo fece entrare  nel mito, al pari di altre rock-star, del calibro di Jimi Hendrix o Jim Morrison.
Il film “Summer” (titolo originale: “Lete”) di Kirill Serebrennikov, uscito nel 2018, presentato al 71° Festival di Cannes e, in questi giorni, nelle sale italiane, racconta molto bene, in modo originale, il clima che si respirava tra i giovani amanti del rock, nella Leningrado degli anni ’80.
Serebrennikov sceglie di raccontare quegli anni, proprio a partire dalla nascita dei Kino e dalle vicende giovanili di Viktor Coj.
E’ un’opera interessante che descrive bene il contrasto tra una società appesantita da un declino irreversibile e un mondo di giovani in fermento che, attraverso la musica rock, voleva portare avanti la propria idea di cambiamento.
Il film è molto ben costruito (in alcuni momenti diventa una specie di musical), anche grazie alle belle musiche della colonna sonora e agli effetti stile “grafic art”.
La scelta di girare tutte le scene in bianco e nero è estremamente efficace perché rende bene il grigiore del mondo sovietico giunto alla sua fase finale.
Un film interessante, da non perdere, che illustra molto bene un capitolo particolare della nostra storia contemporanea.

Francesco Casarelli





Un link per conoscere la musica dei Kino

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