Per non dimenticare Rabin: il suo assassinio ha fatto da prologo all’atto in corso della tragedia israelo-palestinese
Oggi, memoria dei defunti, è davvero il caso di ricordare un uomo eccezionale, ucciso vent’anni fa, la cui sopravvivenza avrebbe potuto fare la differenza in un Vicino Oriente in cui il sonno della ragione e dell’umanità continua a generare mostri dopo mostri in un groviglio tale che nemmeno le grandi potenze sembra abbiano chiaro come procedere.
L’assassinio di Yitzhak Rabin, il protagonista del processo di Oslo e di quel timido abbozzo di pace con Yasser Arafat e coi palestinesi che si celebrò a Washington alla presenza benedicente di Bill Clinton, ha segnato la storia della regione, avvitandola in quel precipizio – così l’ha definito l’attivista israeliano Michel Warschawski – da cui non riesce a uscire, ponendo le premesse di un homo homini lupus ormai senza più frontiere né prospettive.
Come ha scritto recentemente Edgar Keret – autore e regista israeliano – “la storia è piena di assassinii politici che hanno ottenuto l’effetto opposto di quello auspicato dai loro esecutori. L’assassinio di Martin Luther King promosse il processo di uguaglianza dei neri e quello di Lincoln non ripristinò la schiavitù negli Usa. Quello di Rabin, invece, ha realizzato il progetto dell’assassino, Yigal Amir, e fermato il processo di pace”. E’ triste ammetterlo ma è così.
Ancor più triste, comunque, quel che Keret aggiunge: “L’assassinio di Rabin si è rivelato uno degli omicidi politici più riusciti dell’era moderna non solo [grazie] alla mano ferma del killer, ma anche al popolo di Israele, il quale ha aiutato l’assassino a promuovere la sua visione ideologica. Amir non sarebbe riuscito nella missione senza l’elezione di Netanyahu da parte di noi cittadini d’Israele. A differenza di quella che amiamo raccontarci, il popolo di Israele non è solo vittima ma anche partner del crimine. E in questa tragedia, come in ogni tragedia, il castigo non è tardato a venire. […] Sembra che più si vada avanti, più le cose rimangano le stesse. O forse, sarebbe giusto dire, ‘quasi le stesse’. […] E il cambiamento si è avvertito soprattutto in occasione del linciaggio di Haftom Zarhum, un rifugiato eritreo scambiato per un terrorista avvenuto a Beer Sheva una settimana fa. Nonostante non avesse compiuto alcun gesto minaccioso né avesse armi da fuoco con sé, Zarhum è stato colpito con sei proiettili e quando già giaceva a terra sanguinante è stato picchiato da alcuni presenti, preso a calci e colpito in testa con una pesante panchina”.
Un gesto di violenza folle e brutale può essere respinto dalla maggioranza di un popolo, può far risvegliare e rinsavire. Ma può anche contagiare tanti, precipitarli in una spirale di odio e di disumanità. Uno degli aggressori, arrestato dopo l’omicidio di Zarhum, ha detto: “Se fosse stato un terrorista tutti mi avrebbero ringraziato”.
Francesco De Palma
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