Poveri Cristi del nostro tempo impazzito. Ascanio Celestini racconta.
Ascanio Celestini, Laika, 2015. |
In un tempo che vive lo sgomento del terrore omicida, che semina morte da Parigi al mondo intero, Ascanio Celestini racconta a teatro la storia di un’inquietudine: Laika – questo il titolo della singolare rappresentazione che si conclude lunedì 16 novembre al teatro Vascello di Roma – è il nome del primo cane lanciato nello spazio. Un cane raccolto dalla strada e spedito su, nel cielo. Forse, ammettendo un gioco di parole e uno scambio di consonanti, è anche il laico Celestini che sceglie di rappresentare il suo personalissimo Gesù.
Questo originale artista romano, che ha scandagliato finora i drammi della follia al tempo del manicomio ma anche la tragedia delle Fosse Ardeatine, le borgate di Roma e il mondo dei carcerati, propone la sua turbolenta rassegna: con molte inquietudini sulla religione e tanta simpatia per i poveri Cristi che popolano – da tempo – il suo personalissimo mosaico umano.
Un “barbone”, una povera vecchia, una donna – bellissimo uso metaforico del dialetto di Roma – con la “testa impicciata”, una prostituta, alcuni immigrati che provano ad opporsi all’ingiustizia: sono questi i co-protagonisti della affabulazione ironica ed affascinate di Celestini, che si muove davvero come un barbone sulla scena, accompagnato dalla fisarmonica di Gianluca Casadei e della voce fuori campo di Alba Rohrwacher.
Si potrebbe dire che lo “spirituale” non sia una categoria nella quale Celestini dimostri particolari competenze: eppure, certe sue descrizioni così umane e cariche di simpatia per i poveracci, così pietose, oniriche ed appassionate verso quelli che al massimo godono di una insofferente tolleranza, possono essere – per certi versi – più efficaci di una grande teologia.
Pasolini, La ricotta |
Per Celestini, alla fine, forse Gesù non riesce a salvare molti, ma ci prova: “per il nostro mondo senza Dio, è già molto. Un passo indietro rispetto al Paradiso, ma un passo avanti che ci avvicina all’uomo“.
Come la povertà sottoproletaria di Stracci ne La ricotta di Pasolini, l’umanità dolente e scombinata rappresentata dal monologo di Ascanio Celestini è davvero eloquente e ci porta – colla magia della voce che narra ed incanta – a capire un po’ di più lo spazio necessario della compassione e della simpatia, oltre la superficialità un po’ volgare del nostro tempo indurito.
Paolo Sassi
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