FATTI

Addio a Gianmaria Testa, musicista cortese che ha cantato l’umanità dei migranti


Mentre in prima pagina campeggiava la foto di Raùl Castro a Roma in visita al papa, la Repubblica dell’11 maggio 2015 pubblicava – a pagina 19 – una bella conversazione di Michele Serra con Gianmaria Testa.
Fu la prima conferma esplicita – tra considerazioni di inusitata saggezza sul senso della vita e sulla fragilità – che le assenze dell’artista piemontese erano ahimè dovute ad una grave malattia, quella che lo ha portato alla morte lo scorso 30 marzo, nella sua casa di Alba.
Gianmaria Testa era nato nel 1958 in provincia di Cuneo; musicista, compositore e poeta, a Cuneo aveva lavorato da ferroviere (capostazione, per la precisione), come quelli che amano la propria arte ma sanno bene che spesso essa non basta a guadagnarsi il pane. Aveva smesso il lavoro in ferrovia quando la piccola fama di musicista d’eccellenza – che lo aveva infine meritatamente raggiunto – gli rendeva difficile conciliare due “professsioni” così diverse.
Nemo profeta in patria. La sua è stata una carriera davvero singolare: pressochè sconosciuto in Italia, debutta con un album in Francia dal titolo Montgolfières, nel 1995. Sono gli anni del passaparola, in cui gli amanti della musica di qualità si scambiavano sopresi il nome di Testa, entusiasti dei suoi arpeggi, del timbro caldo della sua voce e dei suoi testi.
Dall’Olympia di Parigi ai teatri di mezza Europa, il calibro artisitico di Gianmaria Testa ha trovato nel corso degli anni sempre più estimatori, sia tra gli amanti della canzone
d’autore che nel mondo della musica in genere. A me piace ricordarlo,
in questo tempo così segnato dal dramma delle migrazioni verso le
frontiere europee, per un suo prezioso album del 2006, dal titolo da questa parte del mare.
Con la consueta inconfondibile armonia di musica e parole, in quest’album Testa ci ha proposto un itinerario poetico lungo le linee dell’umanità migrante, toccante e vibrante di passione umana e compassione per la sorte degli sradicati e di quanti perdono la vita in mare, nei viaggi della speranza.
Canta nel brano ritals:

Eppure lo sapevamo anche noi l’odore delle stive
l’amaro del partire.
Lo sapevamo anche noi
e una lingua da disimparare
e un’altra da imparare in fretta
prima della bicicletta.
Lo sapevamo anche noi
e la nebbia di fiato alla vetrine
e il tiepido del pane
e l’onta del rifiuto
lo sapevamo anche noi
questo guardare muto.
E sapevamo la pazienza
di chi non si può fermare
e la santa carità
del santo regalare
lo sapevamo anche noi
il colore dell’offesa
e un abitare magro e magro
che non diventa casa
e la nebbia di fiato alla vetrine
e il tiepido del pane
e l’onta del riufito
lo sapevamo anche noi
questo guardare muto.

Per il prossimo 19 aprile è annunciata la pubblicazione – con l’omonimo titolo Da questa parte del mare – di un libro per l’editore Einaudi, con la prefazione di Erri De Luca.
Scriveva Gianmaria Testa sulla sua pagina facebook il 26 febbraio scorso:

[i]l libro […] [è] il racconto dei pensieri, delle storie, delle situazioni che hanno
contribuito a dar vita ad ognuna delle canzoni di quell’album e un po’
anche il racconto di me e delle mie radici. Quell’album uscì
nell’ottobre del 2006. Dieci anni fa giusti e niente da allora è
cambiato, semmai è peggiorato. Il nostro mare piccolo, il Mediterraneo, è
diventato una coperta chiusa, un lenzuolo bianco a coprire occhi e
membra.

Ora che la voce e le parole di Gianmaria Testa restano affidate alle sue incisioni, rimane la constatazione di quanto bisogno ci sia di uomini sensibili al dramma di questi tempi, specie ora che la piccola avventura dei corridoi umanitari sta cominciando a mostrare le possibili strade di un’accoglienza diversa.

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