FATTI

Rapporto ISTAT. L’“emorragia” demografica e il valore aggiunto delle reti

Com’era
immaginabile, tanti commentatori analizzando l’ultimo Rapporto ISTAT hanno
concentrato la loro attenzione sui mutamenti demografici, su quelli
dell’invecchiamento della popolazione, nonché sulla trasformazione delle
strutture familiari. Seppur ogni edizione del Rapporto ISTAT è una miniera di
informazioni sulla situazione generale del Paese, descrivendone le diverse
realtà e con la individuazione di rischi e opportunità per il futuro.


L’Italia
è entrata in una fase di declino demografico con una “emorragia” continua. Dal
2015 l’Italia la popolazione totale diminuisce, di quasi 100mila persone
rispetto all’anno precedente. Al 1 gennaio 2018 si stima che la popolazione
ammonti a 60,5 milioni di residenti, con un’incidenza della popolazione
straniera dell’8,4% (5,6 milioni). La stima della popolazione straniera al 1
gennaio 2018 mostra un incremento di 18mila persone rispetto all’anno
precedente, come saldo tra ingressi, uscite e acquisizioni di cittadinanza. È
dal 2016 che la variazione della popolazione straniera sull’anno precedente
presenta – dice l’Istat nel suo rapporto annuale – valori modesti, soprattutto
se comparati con quelli degli anni Duemila.
Aumenta
l’invecchiamento della popolazione, nonostante la presenza degli stranieri
caratterizzati da una struttura per età più giovane di quella italiana e con
una fecondità più elevata. L’Italia diviene il secondo Paese più vecchio al
mondo, con una stima di 168,7 anziani ogni 100 giovani al 1 gennaio 2018. Per
il nono anno consecutivo le nascite registrano una diminuzione: nel 2017 ne
sono state stimate 464mila, il 2% in meno rispetto all’anno precedente e nuovo
minimo storico. Sono dati inquietanti, specialmente se confrontati con le
nascite degli anni sessanta, il decennio dei Baby Boomers in cui si registrò
non solo una crescita economica importante, ma anche un vero e proprio boom di
nascite (nel 1964, anno in cui in Italia si raggiunse il massimo storico, i
nati furono 1.035.207).
Nel
2017 i nati con almeno un genitore straniero sono stati intorno ai 100mila
(21,1% del totale dei nati). Dal 2012 il contributo in termini di nascite della
popolazione straniera residente è in calo. A diminuire sono in particolare i
nati da genitori entrambi stranieri, con una stima pari a 66mila nel 2017
(14,2% sul totale delle nascite). Pur mantenendosi su livelli decisamente più
elevati di quelli delle cittadine italiane (1,95 rispetto a 1,27 secondo le
stime nel 2017), diminuisce il numero medio di figli delle cittadine straniere,
come conseguenza delle dinamiche migratorie e della loro struttura per età che
si presenta “invecchiata” rispetto al passato. Si diventa genitori sempre più
tardi. Considerando le donne, l’età media alla nascita del primo figlio è di 31
anni nel 2016, in continuo aumento dal 1980 (quando era di 26 anni).
Altri
dati fanno riflettere. Cresce il numero di ragazzi che acquisiscono la
cittadinanza italiana per trasmissione del diritto dai genitori. Al 1° gennaio
2017 si contano circa 218 mila minori che hanno acquisito la cittadinanza
italiana tra il 2011 e il 2016 (quasi il 30% del totale delle acquisizioni), di
cui 169 mila nati in Italia. Il saldo migratorio, positivo da oltre vent’anni,
si contrae ma è in lieve ripresa negli ultimi due anni (stimato in 184 mila
unità nel 2017): le immigrazioni dall’estero si sono ridotte da 527 mila
iscritti in anagrafe nel 2007 a 337 mila stimati nel 2017. Le emigrazioni per
l’estero invece sono triplicate, passando da 51 mila a 153 mila.
Una
parte decisamente interessante del Rapporto è quella relativa alle reti,
interpretate giustamente come fattore evolutivo un contributo alla resilienza
dei soggetti e delle forme in cui si organizzano, come un fattore di
protezione, di rafforzamento, di crescita. Seppur sono tanti i concetti di
rete, resta evidente il concetto che da soli non possiamo nemmeno sopravvivere.
Immersi nelle relazioni sociali, invece, prosperiamo. Esistono le reti di
parentela, amicizia e vicinato considerando i parenti stretti (nonni, genitori,
fratelli e sorelle, partner, figli e nipoti), gli altri parenti (zii, figli di
fratelli, cugini, cognati, suoceri e altri), i vicini, gli amici e la presenza
di qualcuno che sarebbe disposto a prestare un aiuto concreto. In tal senso,
una famiglia che si restringe riduce l’ampiezza delle reti familiari. Quando i
centri minori perdono popolazione e chi resta invecchia, si assottigliano le
reti di vicinato. L’assottigliarsi delle reti può comportare, dal punto di
vista degli individui, un maggiore rischio di isolamento. Il pensiero corre
subito alla condizione degli anziani. Degni di nota e di approfondimento alcuni
dati. Nel 2016 la dimensione media della rete familiare delle persone da 18
anni in su è di 5,4 parenti stretti e di 1,9 altri parenti. A partire dai 55
anni, all’aumentare dell’età cresce il numero medio di parenti stretti, fino a
raggiungere una media di 6,3 per gli individui di 75 anni e più, mentre
diminuisce per tutte le età in maniera costante il numero medio di altri parenti
su cui contare. All’aumentare dell’età sono sempre meno le persone che
dichiarano di poter contare su una rete variegata (altri parenti, amici e
vicini): la quota tra i più anziani (25,6% delle persone di 75 anni e più) è
meno della metà di quella dei più giovani (57,8% delle persone tra i 18 e i 24
anni). Al crescere dell’età, invece, prevalgono le reti “esclusive”,
in particolare quelle costituite solo da parenti o solo da vicini. Dal 1998 al
2016 la quota di persone di 18 anni e più che hanno dato almeno un aiuto
gratuito è aumentata di poco più di dieci punti percentuali, passando dal 22,8
al 33,1%. Contestualmente, la quota delle famiglie che hanno ricevuto almeno un
aiuto gratuito da parte di persone non coabitanti (16,1%) è rimasta
sostanzialmente stabile rispetto al 1998. Vengono offerti prevalentemente aiuti
per compagnia, accompagnamento, ospitalità (35,9% delle persone che hanno
fornito almeno un aiuto) seguiti da quelli per espletamento di pratiche
burocratiche (30,4%) e aiuto nelle attività domestiche (28,8%). Oltre un terzo
delle famiglie, sostenute informalmente, ha ricevuto aiuto per attività
domestiche (34,5%). Più di una famiglia su quattro per compagnia,
accompagnamento, ospitalità e espletamento di pratiche burocratiche. Pertanto,
le reti di relazione non realizzano solo vantaggi isolati, ma si cumulano e si
agglomerano, tanto che è possibile parlare di un potere moltiplicatore delle
reti. I vantaggi delle risorse relazionali si estendono oltre i confini
dell’individuo e della sua famiglia, stimolano il senso di appartenenza,
promuovono il senso civico e favoriscono la fiducia interpersonale e verso le
istituzioni, con effetti importanti sulla società nel suo complesso. In altri
termini, aumentano la solidarietà tra gli individui e tra le generazioni. 
Come ha dimostrato il
Programma Viva gli Anziani, nato a Roma nel 2004, come sperimentazione della
Comunità di Sant’Egidio e del Ministero della Salute, in seguito alle morti
migliaia di anziani a causa dell’eccezionale caldo dell’estate del 2003. Il Programma
“Viva gli Anziani!”, attivo a Roma ed in diverse città d’Italia, si è
dimostrato un servizio innovativo per il contrasto dell’isolamento sociale,
attraverso la creazione di reti, che si collocano accanto alle risposte
tradizionali (assistenza domiciliare, servizi residenziali, etc.), raggiungendo
ampie fette di popolazione esposta a rischi. Dal 2004, solamente a Roma, sono
stati seguiti più di 12.000 anziani, effettuati più di 350.000 interventi
attraverso telefonate, visite domiciliari, espletamento di pratiche
burocratiche ed eventi pubblici (feste di piazza, banchetti informativi, …);
sono state coinvolte nelle reti di aiuto informale più di 23.000 persone
(vicini di casa, commercianti, portieri, volontari). Gli operatori per la
maggior parte sono gli stessi anziani diventati nel tempo attivisti del
Programma.

Antonio Salvati


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