FATTI

Stati Uniti: una tassa ad hoc per i senzatetto

Negli Stati Uniti, in modo particolare nelle grandi città, il problema dei senzatetto è enorme, per i numeri, ma anche per le condizioni in cui versano migliaia di persone.
Quasi nessun Stato ha adottato misure assistenziali o sanitarie opportune, non solo per la mancanza di un welfare adeguato, ma anche per la difficoltà nell’offrire risposte per le situazioni delle diverse fasce di popolazione. Solo per fare un esempio, c’è l’enorme problema dei reduci di guerra nei cui ultimi quattro decenni gli Stati Uniti hanno, a diverso titolo, combattuto: alcuni di loro sono tornati con gravi danni psichici, o in condizioni di instabilità mentale e, talvolta, senza una famiglia alle spalle in grado di farsi loro carico. Costoro, in breve tempo, si ritrovano, dopo una serie di vicissitudini, a vivere in strada senza mezzi di sussistenza.
Una ricerca del 2013, rivela che un terzo dei barboni di San Francisco (insieme a New York, la città con maggior numero di senzacasa), soffre di problemi psichiatrici o di depressione. Un’altra buona parte di loro fa utilizzo di sostanze stupefacenti o è dipendente dall’alcol. Ci sono anche coloro che sono colpiti da serie patologie che rendono difficili i rapporti con gli altri: sono in aumento i casi di schizofrenia, ma anche le persone affette da bipolarismo. 
La città, in cui il fenomeno è particolarmente grave è Los Angeles: ivi si sono contati quasi 60mila barboni, tra cui 5mila bambini e oltre 4mila anziani. Vi sono molti tossicodipendenti, o malati psichiatrici, tra i più deboli della società. 

Nei giorni scorsi, con la motivazione di venire incontro a questo vero e proprio dramma sociale, il consiglio comunale di Seattle – città dello Stato di Washington – con più di 11mila senzatetto, ha approvato un provvedimento che dal prossimo gennaio, imporrà una tassa di 275 dollari all’anno per ciascun dipendente a tempo pieno del colosso di vendite online Amazon e di tutte le altre società che realizzano almeno 20 milioni di dollari di ricavi annui. 
Dalla cronaca americana, il provvedimento è stato appropriatamente chiamato “Amazon tax”, anche se non sarà l’unico colosso ad avere un esborso così elevato. Infatti, anche Starbucks, la catena di grandi magazzini Nordstrom, Apple, Facebook e Google, rientrano nel mirino della nuova tassazione.
Il cui gettito si riverserà nella costruzione di alloggi popolari e residenziali ma a basso costo e nel potenziamento dei servizi di assistenza e ricovero verso chi già è nella condizione di indigente.
Non si sono fatte attendere sonore proteste dai colossi interessati per questo “prelievo” forzoso. Nello specifico, il colosso Amazon, che conta ben 45mila dipendenti nella città di Seattle, vedrà la nuova tassazione aggirarsi intorno ai 20 milioni di dollari (a fronte di un ricavo di 1,6 miliardi solo negli ultimi tre mesi!). I suoi vertici hanno minacciato rappresaglie dimostrative per contestare la decisione comunale, non ultima la minaccia di scegliere un’altra città come quartier generale.
La decisione ha suscitato reazioni anche politiche: la dirigenza delle imprese coinvolte hanno insieme dichiarato la tassa come niente più che un dannoso balzello sui lavoratori e sulla crescita delle aziende, che mette a rischio numerosi posti di lavoro. Esponenti repubblicani locali hanno raccolto la protesta e promesso battaglia a loro nome, ipotizzando anche una legge statale che impedisca qualunque imposta locale su dipendenti, stipendi o ore di lavoro.
Le suddette disposizioni saranno temporanee, l’intento dell’amministrazione locale è di raccogliere circa 45 milioni di dollari per cinque anni, al termine la tassa sarà cancellata.
Germano Baldazzi

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