PAROLE

Venerdì Santo con i migranti

La scorsa notte in
chiusura della Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo, papa Francesco, ha recitato
una preghiera per “tutte le croci del mondo”, con al centro la
sofferenza di tante persone e soprattutto anche quella “dei migranti che trovano le porte chiuse a
causa della paura e dei cuori blindati dai calcoli politici
“. Qualche
anno fa la filosofa e scrittrice francese di origine bulgara Kristeva disse: “Stranamente, lo straniero ci abita: è il
volto nascosto della nostra identità, lo spazio che rovina la nostra
abitazione, il tempo in cui si deteriorano l’intesa e la simpatia.
Riconoscendolo in noi, noi evitiamo di detestarlo in sé… Lo straniero inizia
quando sorge la coscienza  della mia
differenza e finisce quando ci riconosciamo tutti stranieri, ribelli ai legami
e alle comunità
“. Gesù stesso, pur essendo membro del popolo d’Israele,
nei vangeli è presentato paradossalmente come straniero. Nella sua esperienza
prima della Pasqua vive una condizione di marginalità perché proviene dalla
Galilea e sceglie luoghi marginali per predicare il Vangelo, presentandosi come “altro”. Gesù si presenta in modo paradossale come straniero tra i suoi: viene
considerato come una presenza estranea e pericolosa, da eliminare a causa del
suo insegnamento che va ben oltre i confini della legge religiosa. Del resto
Gesù muore da straniero: la forma di esecuzione scelta da Pilato è quella
comune alle persone che non hanno diritti civili, cioè, che non sono cittadini
romani. Paolo, cittadino romano, morì decapitato, considerata un’esecuzione
meno cruenta, mentre la pena più dura è la crocifissione, lunga e atroce. Sappiamo cosa decise il Sinedrio della trenta monete del prezzo del tradimento di Giuda: saranno adoperate per
comperare un campo fuori città, “il
‘Campo del vasaio’ per la sepoltura degli stranieri”
(Mt.27,7).


Non è quindi un caso che
proprio nella notte del venerdì santo papa Francesco voglia ricordare il dramma
delle tante persone che emigrano. Con le Primavere arabe, all’inizio del 2011, e
la crisi siriana (2012) molti paesi d’Europa hanno visto riversarsi alle loro
frontiere profughi e migranti. In ogni Stato membro dell’Unione europea cresce
la paura di divenire il terminale unico dell’afflusso. Si comincia così a
parlare di “controllo delle frontiere esterne”. Dal 2013 anche l’Italia (fino a
quel momento paese di transito) diviene approdo definitivo. L’acuirsi della
crisi libica, tra il 2013 e il 2014 aumenta i flussi: si apre una via che viene
percorsa anche dagli africani. Alle prese con la crisi finanziaria ed economica
del 2007/8 l’Europa non reagisce. Il naufragio del 3 ottobre 2013 (con quasi
400 morti) al largo di Lampedusa fa scattare l’operazione Mare Nostrum. Nessun
paese europeo vuole partecipare. Dopo un anno, viene sostituita nel 2014 da
Triton con l’appoggio di 15 paesi europei: si tratta prevalentemente di
un’operazione di controllo delle frontiere esterne. Viene affiancata da una
operazione militare della UE (Sophia), con navi e aerei che pattugliano il
Mediterraneo, per contrastare i trafficanti. Non c’è condivisione dei profughi.
Il sistema delle quote faticosamente negoziato a Bruxelles, non è applicato. Le
porte d’Europa restano chiuse e la polemica si concentra sulle clausole del
Trattato di Dublino che – com’è noto – obbliga il profugo a restare nel paese
di primo approdo. In maniera assurda alcuni Stati membri dichiarano “paesi
sicuri” Stati in cui i migranti sono certamente maltrattati e dove non si
rispettano i diritti umani. Meritoriamente alcune ONG armano battelli di
salvataggio (si giunge a 14) e iniziano una campagna in favore dell’accoglienza
denunciando le condizioni dei profughi in Libia e altri paesi. Saranno attaccate
e criminalizzate, anche dai governi. Oggi rimane solo un battello ONG operativo.
Tra il 2015 e oggi vengono spesi miliardi di euro per finanziare progetti sulla
“sicurezza” e controllo delle frontiere. L’UE esternalizza, quindi, il
controllo delle sue frontiere. In Europa – è cronaca dei nostri giorni – il
tema diviene argomento elettorale e nemmeno le norme già presenti nella
legislazione europea vengono applicati in toto: nessun paese vuole più profughi
o migranti. Solo i corridoi umanitari promossi dalla Comunità di Sant’Egidio
insieme con la Federazione delle
Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e la Cei-Caritas, progetti completamente
autofinanziati,
riescono ad aprire una via legale oltre che sicura e
hanno accolto finora 2.470 persone, di cui il 40% minori, a fronte di 32.207
entrate con il resettlement in
Europa. Se si prendono in considerazione i singoli Paesi europei, solo la
Francia, la Germania, l’Olanda, la Norvegia e la Svezia hanno fatto, in tre
anni, più dei corridoi umanitari che invece hanno accolto da soli più di 21
Paesi europei. Dall’ottobre 2013 al marzo 2019 i morti e dispersi nel
Mediterraneo centrale ammontano a circa 19.000 stimati. I programmi di resettlement termineranno a settembre
2019 quindi se la nuova Commissione non li rinnoverà, tutti i programmi di
spostamento dai paesi limitrofi a zone di guerra sono chiusi e rimarrà aperta
solo la via dei Corridoi Umanitari ed eventualmente accordi bilaterali tra i
paesi. I migranti che ci raggiungono da situazioni tanto difficili
rappresentano di fatto un movimento con una forza pacificamente sovversiva
rispetto a un ordine ingiusto, con i loro dolori e sofferenze. Ancora una volta
il Papa ci invita a non guardare con indifferenza i naufragi. Come evinciamo da
tante cronache, la povertà di pensiero, la poca generosità, l’impoverimento
delle relazioni umane, si fanno strada senza che spesso ce ne rendiamo conto.
Occorre lavorare per dare a tutti e a noi stessi un futuro. Soprattutto rifuggendo
ogni tentazione identitaria, in un tempo in cui sentiamo quotidianamente
rivendicazioni identitarie. Esse sembrano forti quando non si mischiano: la
“giusta” nazionalità, la buona classe sociale, la “vera” religione, addirittura
della “giusta razza”. Si parla di identità cristiana, islamica, induista,
nazionalista, sovranista e chi più ne ha più ne metta. Potremmo dire che un
cristianesimo identitario è inconcepibile. Il cattolicesimo, poi, è universale
per definizione. “Non c’è più giudeo né
greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, poiché tutti
siete uno in Cristo Gesù
” (Gal.3,28) sosteneva l’apostolo Paolo, ricordando
il dovere di essere ospitali (philoxenìa).

Antonio Salvati

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