Gli Ebrei e l’Umanità all’inizio di un nuovo anno
Quello che si è aperto lo scorso 24 settembre è l’anno 5775: in quel giorno, gli Ebrei hanno celebrato in tutto il mondo la festa di Rosh haShanah, che dopo 10 giorni – quest’anno il 4 di ottobre – culminerà nel giorno di Yom Kippur.
Il calendario e le feste, come sappiamo, sono sempre stati per la storia dei popoli segni di grande identità, anche se la globalizzazione ha attenuato molto il rilievo che lo scandire dei giorni ha sempre avuto per le vicende umane. Oggi Halloween si celebra quasi ovunque, mentre in molti paesi di antica tradizione ebraico-cristiana esistono tanti che hanno difficoltà a spiegare cosa sia la Pasqua.
Eppure, questi dieci giorni – celebrati con partecipazione intensa solo da una piccolissima minoranza qui in Europa – sono per certi aspetti fondativi della stessa nostra comune identità.
Secondo la tradizione, in questi giorni l’Onnipotente compie uno scrutinio non solo del popolo ebraico ma dell’intera Umanità, per valutare se concedere il suo perdono agli uomini. Al contempo, il popolo è chiamato ad interrogarsi sul rispetto dei comandi del Signore e a chiedere perdono delle proprie colpe: a Dio e al suo prossimo.
Nello Yom Kippur si celebra così il perdono e la riconciliazione, col Creatore e tra le creature, che sono chiamate a vivere un tempo opportuno per la Teshuvah, cioè il pentimento (o meglio ancora: il ritorno all’amore per la Legge e per gli uomini).
Si tratta di temi decisivi, che fondano l’identità di un popolo – gli Ebrei – ma anche l’essenza di una civiltà. Thomas Cahill lo scrisse molto bene in un intrigante libro pubblicato qualche anno fa: in italiano suona Come gli Ebrei cambiarono il mondo, ma forse il titolo originale rende maggiormente giustizia agli intenti del suo autore: The Gifts of the Jews, ovvero i “doni” che gli Ebrei hanno portato all’umanità.
Paolo Sassi
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